martedì 30 agosto 2011

Robert Plant - Milano Jazz Festival (20/7/2011)
















Cosa chiedere di piu a Robert Plant oltre al fatto di star già cantando in casa nostra, in Italia, lontano dalle sue praterie inglesi o dalle tanto amate spiagge Californiane? Ma è ovvio. Un concerto pieno zeppo di cover (stravolte a meraviglia) dei Led Zeppelin.



La cornice, è quella dell'arena civica di Milano, in una serata di luglio non particolarmente calda, dove stanno per esibirsi Robert Plant con la sua rediviva Band Of Joy, e il compagno di tour Ben Harper (non avendo potuto assistere all'esecuzione completa di Ben Harper, mi limiterò a raccontare la sola parte di Plant. Sarà per un altra volta Ben)

Nell'aria c'è qualcosa, un eccitazione particolare, una di quelle emozioni che difficilmente si sentono, e la spiegazione è semplice: Robert Plant, 5 decadi di rock alle spalle, il cantante piu carismatico ed esaltante della storia, frontman del gruppo che ha dominato il mondo e che ancora oggi è pura leggenda, l'uomo che si è risollevato dalle ceneri del dirigibile e che è rinato con una sorprendente carriera solista, costellata di dischi meno diretti ma molto interessanti e affascinanti, sperimentando ed unendo, il rock con la musica tribale africana ed orientale.








Dentro l'arena, la situazione è sempre piu rovente. Non stò a specificare i dettagli della terribile organizzazione del concerto, responsabile di non pochi disagi, che ancora una volta hanno rischiato di gettare un ombra cupa su una serata altrimenti impeccabile.




L'attacco di Percy è immediato, e senza lasciare prigionieri, la serata si apre con Black Dog, ed è pura magia.

E se pensate che fosse solo un fulmine a ciel sereno, bè vi sbagliate di grosso.


Il Dio dai riccioli dorati non si è voluto risparmiare per questa serata a Milano, ed allora ecco What is And What Should it Never Be, Tangerine, l'epica Bron Y Aur Stomp, vero gioiello inaspettato della serata, un pezzo talmente poco ricorrente nelle scalette di Plant, che mai avrei pensato seriamente di vederlo di persona.




E ancora, Misty Mountain Hop e la fantastica Ramble On, per finire con il bis Gallows Pole, senza però saltare le cover Angel Dance dei Los Lobos, House Of Cards di Richard & Linda Thompson, Monkey dei Low e In the Mood, realizzata insieme al compagno di mille concerti, Jimmy Page.


Ogni pezzo, stravolto, riletto e riarrangiato, in un modo sempre nuovo e sempre geniale, segno di un Plant consapevole della sua realtà. Che senso avrebbe avuto tentare di eseguire questi pezzi nello stesso modo di 30 anni fa? E con quale divertimento poi?


No, non è materia per Percy questa. Lui è uno che vuole sopratutto divertirsi con la sua musica. E quando al divertimento, si accosta la passione, come si può sbagliare?











Per questo sentiremo ancora parlare di Robert.









Perchè lui non si fermerà mai, e finchè avrà forza, troveremo sugli scaffali un disco a suo nome, che sia poi accostato a Led Zeppelin, Band of Joy, Strange Sensations o Jimmy Page, poco importa.

Lui sarà li, pronto a dare emozioni ed esaltare, motivare e ammaliare con la sua voce mai troppo stanca.


Fidatevi. La sua passione andrà avanti ancora e ancora e ancora e ancora e ancora.





STRIDER!

mercoledì 3 agosto 2011

The Eagles - Hotel California










8 dicembre 1976. Dopo una serie di sessioni durate da marzo fino ad ottobre, gli Eagles danno alla luce il loro quinto disco in studio, realizzato con la nuova formazione, comprendente per la prima volta il chitarrista Joe Walsh, già famoso per la sua militanza dei James Gang, gruppo di rock funkeggiante dei primi anni 70.


Il disco, è subito un successo, sia di critica che di pubblico, e consolida la fama del gruppo, consacrandolo nella storia.




Già negli anni precedenti, gli Eagles avevano operato un costante cambiamento nello stile musicale, distaccandosi sempre di piu dalla riduttiva etichetta di country rock, in favore di uno stile piu duro e melodico.


Ad aiutare il gruppo, viene nel 1975, il già citato Joe Walsh, che grazie al proprio stile fluido, corposo ed elettrico, dona al gruppo tutti gli elementi necessari per compiere il salto di qualità tanto desiderato.




Il gruppo, nella formazione del disco è composto, oltre da Walsh alla chitarra e tastiera, da Don Felder, chitarra, Glenn Frey, voce, chitarra e tastiera, Randy Meisner al basso e Don Henley alla batteria.




Il disco, si apre col pezzo omonimo. Difficile non conoscre un tale capolavoro della ,musica moderna, uno di quei brani che da soli hanno consentito ad un gruppo di sopravvivere nell'immaginario collettivo ed hanno garantito una buona popolarità anche nei meno interessati al genere. Brani come Smoke On the Water, Highway to Hell o Stairway To Heaven, che ormai significano tutto e nulla, a seconda di chi li ascolta.


La canzone, è una metafora dell'industria musicale californiana di quegli anni, tanto bella ed allettante all'apparenza, quanto spietata e traditrice nei retroscena, rappresentata nel testo, come un hotel che accoglie un viaggiatore stanco, che all'apparenza offre riparo e riposo, ma che in realtà è un luogo d'incubo dalla quale è impossibile uscire.


Una canzone basata tanto sugli accordi arpeggiati della chitarra acustica suggestiva e melodica, quanto sulla voce evocatrice di Felder, attingendo agli stili piu disparati, raggiungendo un alchimia musicale, consolidata dall'elettricità dei due chitarristi, che grazie ad un tocco delicato ed espressivo, si accompagnano lungo tutto il pezzo, giungendo poi ad uno scambio orgiastico, trasformando l'intera canzone in un incredibile duetto chitarristico senza precedenti.











Passato il trauma della title track, si apre in maniera molto diversa il secondo pezzo, New Kid in Town, un rock piu tranquillo e country, con qualche richiamo agli stili di Crosby Stills Nash & Young, sull'onda del primo filone sperimentato dalla band, nata come country rock band.




Subito dopo, si fà sentire la presenza di Joe Walsh, che dona alla band un pezzo funkeggiante come Life in The Fast Lane, sorretto su di un grande riff, caldo e pastoso, che trova corpo nel basso di Randy Maisner, ed anima nei tocchi e negli slide di chitarra della coppia solistica.

Un ulteriore cambio di stile avviene in Wasted Time, un pezzo che si apre come dolce ballata, basata sul piano delicato di Glenn Frey, un brano fatto di atmosfere, grazie ai Synth ed alle chitarre appena accennate, dove viene prediletto il riverbero, ed è uno stacco sinfonico, Wasted Time (Reprise) ad introdurre un altra gemma del disco, la rockeggiata Victim of Love, che si apre con un ottimo riff distorto e pastoso, sviluppato con una ritmica impeccabile, e condito con un buon assolo, opera dello slide di Walsh.


Il brano successivo, Pretty Maids All in a Row, è di nuovo un brano piu softato, come un blues piu delicato e raffinato, che punta non tanto sulla sofferenza, quanto sul commuovere chi lo ascolta, e porta dritto dritto a Try And Love Again, altra ottima ballato con qualche accenno a rock di stampo piu blueseggiante, molto ben suonato e sentito, capace di strappare ancora qualche lacrima dall'ascoltatore, cosi come l'ultima, delicata canzone del disco: The Last Resort.


Vi lascio perciò all'ascolto di questo cult del rock, sperando che riempia le vostre calde giornate d'estate, ovunque voi siate. Specialmente se siete in vacanza in California....