mercoledì 27 aprile 2011

Aerosmith - Pump


Pump, decimo album della band made in USA, è molto probabilmente uno dei migliori album del gruppo, quasi sicuramente il migliore fra quelli usciti negli anni '80 (l'album debuttò infatti nel 1989). Un album che non perde un colpo, Hard Rock puro, che fece capire a tutti che il gruppo era rinato totalmente, dopo la dura crisi avuta (liti fra i membri e problemi di droga vari).

Come sempre, passo ad analizzare ogni brano dell'album:

-Il brano di apertura, Young Lust, è fottutamente carico ed esplosivo. Breve, intenso, potente, perfettamente Hard Rock.

-Rallentiamo leggermente poi con F.I.N.E., in cui Steve alterna note basse e alte in maniera impeccabile. Altro pezzone.

-Ed è ora che incontriamo una delle hit più famose degli Aerosmith. Dopo un breve dialogo, infatti, parte Love In An Elevator, in cui i solos di Joe la fanno da padrone.

-A seguire, Monkey On My Back, dove Tyler si esibisce con acuti e urla incredibili e potenti.

-Incontriamo ora un'altra Hit famosissima, Janie's Got A Gun, uno dei pezzi migliori del gruppo. Stupenda, calda, rilassante, un continuo crescendo che si interrompe... e ricomincia di nuovo. Un incredibile lavoro.

-Continuando questa recensione rischio di esser di parte, perchè molte delle mie canzoni preferite degli Aerosmith provengono da questo album. Ed è il caso di The Other Side, altra canzone "tranquilla", melodica e con un ritornello incredibilmente ipnotico che cattura chiunque lo ascolti.
-E torniamo adesso invece a un altro pezzo più tipicamente Hard Rock: My Girl. Tre minuti trascinanti, allegri e spensierati. Pezzo di minore interesse rispetto ad altri dell'album, ma molto ben riuscito.

-Il brano seguente invece inizia lentamente, esplodendo all'improvviso: Don't Get Mad, Get Even. Brano sicuramente interessante.

- Si continua con un pezzo che ritengo veramente curioso e interessante: Hoodoo/Voodoo Medicine Man. Canzone calda soffusa, ritmica... che esplode selvaggiamente e furiosa, per la gioia delle nostre orecchie.

-Infine, a chiudere l'album, What It Takes. Una ballad di sei minuti e qualcosa, veramente bella e rilassante.

Consiglio quest'album a tutti gli amanti dell'Hard Rock e a chi non conosce gli Aerosmith: è un ottimo modo per cominciare ad amarli e seguirli.


martedì 26 aprile 2011

Faith No More - The Real Thing




Unire Heavy Metal, Funk, Rap e Alternative? Pura follia. Solo se non siete i Faith No More.


Il gruppo nato nella Bay Area agli inizi degli anni '80 presenta in formazione il batterista Mike Bordin ed il bassista Bill Gould, fondatori del gruppo, che, reclutati Jim Martin alla chitarra, il tastierista Roddy Bottum ed il cantante Chuck Mosely, danno alla luce due dischi tra il 1985 ed il 1987, We Care A Lot e Introduce Yourself, ma trovano l'illuminazione solo nel 1989, con un cantante completamente nuovo, Mike Patton, ed un disco che rappresenta probabilmente l'apice del gruppo, The Real Thing.


Parlare dei Faith No More non è esattamente una passeggiata, vista la particolarità del genere, che non è possibile racchiudere in nulla di pre esistente, dato il crossover stilistico a cui hanno dato vita, sfornando in questo disco, pezzi metallici come Surprise!You're Dead! e From Out of Nowhere, le liriche rappeggiate di Epic, la maestosità della title track e di Underwater Love, dove i richiami funkeggianti sono ben chiari, grazie anche ad un bassista che dimostra la sua bravura, e nel mezzo ci stanno anche una cover dei Black Sabbath, una bellissima War Pigs, ed un pezzo destinato a fare storia (grazie anche ad un video assolutamente FUORI di testa), ovvero Falling To Pieces, il pezzo che da solo mi ha convinto ad ascoltare questi metallari atipici.


La forza dei Faith No More stà nel loro ribaltamento totale di ciò che era il metal fino all'89. Provate infatti a pensarvi in quegli anni, in cui l'heavy era ridotto a poco piu di una barzelletta di se stesso, o ad uno scarno formato radiofonico, che nonostante la presenza di molti, moltissimi musicisti validi, non si imponeva con la stessa forza con cui faceva invece (ahime) robaccia hair, e non stò parlando di Motley Crue o Poison, che invece un loro senso lo avevano, oppure la nascente scena hip hop, che stava stravolgendo tutti i canoni fin ora esistenti, oppure, alla ormai decaduta New Wave (e con ciò non stò attaccando gruppi di fine '80 che ancora mostravano gli attributi, ma stò solo cercando di rappresentare la scena di generale miseria che aleggiava intorno alla musica rock/metal in ambito di popolarità)


Quello dei Faith, è qualcosa che ancora oggi è difficile ritrovare, una fusione di correnti come pochi hanno fatto. Sicuramente anche i Rage Against The Machine avranno trovato spunto da questi pazzoidi di San Francisco, per l'unione di metal ed hip hop, mentre per il funk metal suggerisco di ascoltare i Jane's Addiction, di cui parlerò piu avanti.


Generalmente si definisce questo suono come Alternative Rock, che purtroppo, data l'enormità dei gruppi che comprende quest'etichetta, è un genere troppo grosso e riduttivo per esprimere la band.


The Real Thing è anche un grande disco all'intero della serie prodotti dal gruppo, e vi consiglio oltre a questo, il live "At The Brixton Academy" e il disco Angel Dust, contentente l'epocale Midlife Crisis.


Insomma, un grande disco da una grande band, non lasciateveli scappare! Alla prossima gente !


(e non perdetevi il video di Falling To Pieces. Da solo vi farà innamorare di Mike Patton!)

lunedì 18 aprile 2011

Allman Brothers Band - The Allman Brothers Band





La capitale del southern rock? L' Alabama ovviamente. E invece no! Perchè sono di Jacksonvillle, Florida, cosi come i Lynyrd Skynyrd e i Molly Hacthet, il gruppo che con insieme ai già citati ragazzi di Ronnie Van Zant, Marshall Tucker Band e Wet Willie compongono la prima ondata di quell'incrocio tra rock'n roll, blues e soul, che diventerà il genere che tutti amiamo.


Lo stile degli Allman Brothers, sopratutto in questo primo disco, presenta un influenza prevalentemente blues rock, molto ben amalgamato e con grandi jam, e si distingue subito per la coppia di chitarrista/tastierista composta, appunto, dai fratelli Duane e Gregg Allman, veri capitani della formazioni, a cui si associa il secondo gentiluomo della chitarra sudista, Dickey Betts (visto dal sottoscritto al Pistoia Blues Festival del 2008) , due batterie, costituite da Jai Johanny Johanson e da Butch Trucks (il cui discendente, Derek Trucks ha fatto la fortuna della slide guitar, e che ho avuto il piacere di vedere al Pistoia Blues del 2009...niente da fare gente, vi ci dovete fare l'abbonamento) e per finire, il bassista Berry Oakley.


Il disco omonimo, rappresente l'esordio discografico per la formazione, nel 1969, e lancia immediatamente la formazione come una vera istituzione tra i gruppi live dell'epoca, in seguito confermata dal disco "At Fillmore East", che insieme a Live At Leeds degli Who, Live at the Apollo di James Brown e Made in Japan dei Deep Purple, è piu volte indicate tra le primissime file dei migliori dischi live di tutti i tempi.




A fare la fortuna del gruppo è il suo sound caldo e rilassato, sostenuto da un organo delicato e scandito da ritmi sostenuti, che mutano facilmente in pezzi piu influenzati dal boogie, il tutto, con la corposità della voce di Gregg, e segnati dall'incrocio dello slide di Duane con il tocco di Dickey. Tra i pezzi migliori, non possono mancare It's Not my Cross To Bear, lento blues alcolico, la piu rockeggiante Black Hearted Woman, la piu spinta Every Hungry Woman, e ovviamente, il pezzo da antologia del disco, Whipping Post, pezzo che entrerà di diritto nella scuderia degli Allman fino ai giorni nostri.


Senza comunque nulla togliere agli altri pezzi, tutti eccellenti, tra cui si annoverano due cover, una dello Spencer Travis Group, ed uno di Muddy Waters, il profeta nero del blues rock .


Come primo disco, il southern è ancora lontano, ed il suono è piu un rock blues jammato, senza che ci siano elementi particolarmente innovativi, ma le basi del sound per la band ci sono tutte, e questo è il primo di una serie di album che porterà alla consacrazione dei fratelli Allman, fino a raggiungere l'apice nel già nominato At Fillmore East, ma che purtroppo, avrà vita breve.


Il 29 ottobre 1971, il maestro della Les Paul, Duane Allman, ci ha lasciati molto prematuramente a seguito di un incidente motocilclistico, lasciandoci comunque in eredità, un gruppo che ha sputo durare per tutti gli anni '70 con grandissima dignità, ponendosi immediatamente tra gli alfieri del Southern, ed è proprio da questo gruppo che trarranno ispirazione, i Lynyrd Skynyrd, che porteranno il genere al successo internazionale.


L'immagine degli Allman Brothers, per lo stile caratterizzato dall'improvvisazione, ricorda molto i Grateful Dead della Summer Of Love, e proprio quest'analogia ha ispirato il confronto tra la scena psichedelica di San Francisco degli anni '60, con gli scambi tra musicisti come i Jefferson Airplane, i Dead, Johnny Winter, Mike Bloomfield e Al. Kooper e i Quicksilver Messenger Service, con quello che avvenne nel sud degli Stati Uniti durante gli anni '70, almeno nella sua prima incarnazione, piu innocente e spontanea, di quanto invece divenne con l'avvicinarsi dell'AOR.


Morale di oggi, il primo disco degli ABB, non è il piu southern e nemmeno il migliore, ma è il disco fondamentale per capire le radici blues di questi ragazzi della Florida, ed è uno di quegli album che difficilmente potrete smettere di ascoltare!

mercoledì 13 aprile 2011

Gimme Shelter - Altamont 1969





Il decennio della rivoluzione culturale hippy, del flower power e dell'utopia della summer of love, non morirono il 31 dicembre del '69.


Il sogno dell'amore, se ne andò pochi giorni prima, il 6 dicembre dello stesso anno. E lo fece sotto gli occhi di tutti, con un gesto tanto breve quanto terribile, l'accoltellamento durante una rissa dello spettatore Meredith Hunter, da parte di un Hell's Angel di 21 anni, addetti alla sicurezza.



Ma andiamo un po indietro nei fatti.


Gimme Shelter è il nome del film-documentario, diretto dai fratelli Maysles, che aveva l'obiettivo di catturare gli Stones su pellicola durante i loro concerti nel tour americano del '69, per culminare nell'ambizioso progetto dell'Altamont Free Concert, dove avrebbero condiviso il palco con i Flying Burrito Bros, i Jefferson Airplane.



La prima parte del documentario infatti, riprende le esibizioni di (I can't Get no) Satisfaction, Jumpin' Jack Flash, Love in Vain, Brown Sugar e altri classici del repertorio, nel periodo di massima grandezza per la band di Mick Jagger e Keith Richard, il periodo in cui presero vita gli Stones piu blueseggianti e devastanti, l'apice creativo del gruppo, e difatti, le riprese sono degne di nome, e la grandezza degli Stones è resa piu che degnamente.



Le sequenze a questo punto, si concentrano sui preparativi del concerto, l'organizzazione dell'evento, la scelta del luogo, la necessità di volontari per le varie mansioni, e le ore di poco precedenti, in cui si nota la scarsità dell'organizzazione presente, ed il clima di grande tensione che aleggiava nell'ambiente.



Il palco venne allestito in fretta e furia, senza le necessarie transette per il pubblico, ed il pubblico di giovani arrivò, già in gran parte sotto effetto di droghe allucinogene, ed in numero assai maggiore del previsto, ma sicuramente, la scelta che piu di tutte ha condannato il concerto, fu quella di assumere gli Hell's Angels, banda di motociclisti statunitensi particolarmente violenta, che non esitò ad utilizzare mazze da biliardo, pugni e coltelli, per mantenere l'ordine.





L'esecuzione dei Flying Burrito Bros non subì particolare imprevisti, ma quando fu il turno dei Jefferson Airplane, iniziarono i primi disordini.



La rissa fu praticamente immediata, e gli interventi dei membri del gruppo servirono solo ad alzare la tensione, con la cantante Grace Slick che pregava le teste calde di farla finita, ed il cantante Marty Balin che veniva steso dagli Hell's, fu perciò chiaro fin dall'inizio, che quello non sarebbe stato una seconda Woodstock, a cui si aggiunse la cancellazione dei Grateful Dead, mentre si esibirono Santana e Crosby, Stills, Nash & Young, nonostante non vengano ripresi nel film.



Quando fu l'ora per gli Stones di salire sul palco, le cose precipitarono.


Il pezzo d'apertura era Sympathy For The Devil, che fu interrotta da una rissa creatasi a bordopalco. Mick Jagger tentò, come la Slick prima di lui, di riportare l'ordine, ma fu solo una cosa temporanea.




Il concerto riprese, seppure nelle sue difficoltà, con Under My Thumb, ma ancora, l'esibizione durò poco, e questa volta ebbe conseguenze ben piu devastanti.




Nel pieno della rissa, un ragazzo estrasse una pistola, ed immediatamente, un Hell's Angel gli saltò addosso accoltellandolo, e la drammaticità dell'episodio è reso ancora piu vivida dai commenti amari e gli sguardi sofferenti degli stessi Stones durante la visione delle pellicole del concerto, e l'ascolto di intervite raccolte tra gli spettatori.




Il gesto, ripreso nella sua crudezza nel documentario, è lo spartiacque tra l'innocenza dell'utopistica visione di pace e amore e la cinica realtà degli anni '70.



Gimme Shelter è perciò, un documentario che seppur spietato e carico di rabbia, è fondamentale per capire l'evoluzione cruda che ha subito il rock, ed è uno strumento per comprendere l'inutilità della violenza.

domenica 3 aprile 2011

Roger Waters - The Wall Live (2/4/2011)







Atom Earth Mother, Wish You Were Here, Dark Side of The Moon, Animals, Meddle, Ummagumma...


per me, ognuno di questi dischi, è superiore a The Wall, senza ombra di dubbio, non lo nascondo.


Dopo stasera, devo delle grandi scuse, sia all'opera, che al suo maggiore ideatore: Roger Waters. L'averlo visto stasera a Milano, insieme ad altri 10 000 spettatori, non mi fa rivalutare l'opinione che ho del disco, e continuo a credere nella superiorità dei sopra elencati.



Ma finalmente, stasera ne ho capito l'importanza, e la vera grandiosità!


The Wall è un opera del tutto a se stante nel panorama dei Pink Floyd, e della musica in generale: si tratta di una vera e propria rappresentazione teatrale rock, che non ha eguali, e che trova la sua giusta rappresentazione, non in un misero doppio album, ma in una produzione colossale come quella intrapresa da Waters.


Quello a cui ho appena assistito infatti, non è un concerto, bensì, un opera teatrale, dall'incredibile contenuto visionario, concettuale e da una scenografia psichedelica senza precedenti.

Il palco dell'arena di Milano, è costituito da una muro di 12 metri per 70, di mattoni di cartone e metallo, che dall'inizio del concerto fino alla fine del primo atto, vengono posti fino a completarlo, e ad isolare completamente il gruppo, costituito da Roger Waters e i suoi 11 musicisti di fiducia, ed il resto del pubblico, formando quello che è un enorme schermo cinematografico, su cui si susseguono immagini angoscianti e visionarie, di un universo alla 1984 di Orwell, e che attualizza il concetto di muro come barriera tra l'individuo e la propria libertà, posto da "semplici" shock familiari, professori conformisti e madri oppressive, ad un maestoso simbolo di protesta contro la guerra, con chiari riferimenti di sfida verso la Chiesa, la religione Ebrea, Musulmana, il "Dio Denaro", la ditta di auto Mercedes e la compagnia Shell.


Sullo sfondo del muro, si susseguono immagini di soldati, civili e bambini, uccisi in operazioni militari, attentati terroristici e tutto ciò che i credo fondamentalistici possono portare di male, oltre ad immagini psichedeliche dei temi classici di The Wall, e idee come la vita e la morte, o il sesso e la dittatura, e che si conclude, con l'abbattimento in grande stile, del muro stesso, che crolla riversandosi addosso ai fortunati delle prime file centrali.




Dal punto di vista musicale, l'opera è, ovviamente, impeccabile, potendo Waters avvalersi di musicisti di prim'ordine, e di attrezzature fantascentifiche, per un progetto milionario che non ha eguali, e che comprende, l'intera esecuzione del doppio LP.


Oltre a tutto questo, laser, fumi scenografici, burattini di 10 metri, Il Pink Floyd Pig, incattivito al livello di spietato cinghiale, oltre ad una sentitissima esecuzione teatrale dello stesso Waters, rendono il concerto uno spettacolo di rara bellezza, coinvolgendo l'ex bassista dei Floyd, in tutte le sue vene artistiche, attualizzando un opera, datata ormai piu di 32 anni fa.


Un esperienza piu unica che rara, quella di trovarsi in mezzo a cosi tanta gente, che cosi tanto deve ad un uomo che da oltre 40 anni, occupa, da solo o con i Pink Floyd, un posto speciale in tutti gli appassionati di musica, e che ben si sposa con la cornice del Mediolanum Forum di Milano


Il bello del concerto, a mio parere, è che non è un concerto, e prende tutti quegli elementi che solitamente compromettono la degna esecuzione da palcoscenico di un musicista, come la troppa teatralità, la scarsa visibilità del gruppo (letteralmente isolato dal muro per diversi pezzi) e la mancanza di improvvisazioni o rivisitazioni, e li usa a suo vantaggio, rendendoli, uno dopo l'altro, i tasselli fondamentali, i mattoni, di quello che è The Wall: non un muro che separa, ma una porta che si apre per chi la osserva.



Perciò, non vedrete i Pink Floyd con questo spettacolo, ma di sicuro, avrete la migliore occasione del mondo per poter godere del concept di The Wall, ed assistere all'ultimo atto della carriera di Waters, aspettando anche un ritorno di sua maestà David Gilmour (e perchè no, anche Sir. Nick Mason)