mercoledì 29 dicembre 2010

Dennis Wilson - Pacific Ocean Blue



Salve a tutti Fratelli di musica, e benvenuti all'ultimo articolo di questo 2010 che ha segnato il ritorno del nostro sito, e per concluderlo, ho scelto un disco che spero possa piacervi tanto quanto è piaciuto a me.
Il disco, è Pacific Ocean Blue, il primo disco solista di Dennis Wilson, l'ex batterista dei Beach Boys (ma che ben poco ha da spartire con i vecchi ragazzi da spiaggia di tanti anni prima).
L'album fu il primo poubblicato come solista da uno dei membri egli scioltisi Beach Boys, ed uscì nel 1977, riscuotendo immediatamente un grande successo commerciale.
Descrivere la musica di questo disco non è facile, poichè si tratta di canzoni non ordinarie, e che non corrispondono ad un particolare schema compositivo, e giocano il loro forte nella composizione nata attorno agli arrangiamenti di pianoforte che Dennis buttò giu quasi per scherzo.
La musica di questo disco ha il potere di trasferire le emozioni che provava all'epoca il batterista, e come dissero del disco, "ancora oggi, dpo 30 anni dalla sua uscita, Pacific Ocean Blue trasmette l'idea di un uomo in pace con se stesso e con la vita".
La prima traccia è senz'altro, a mio parere, la migliore in assoluto, un incredibile pezzo di grande impatto, è una specie di love song, che però è diretta verso il fiume, verso il mare, verso quella libertà e sconfinatezza che agli uomini è permesso solo di immaginare, senza mai poterla possedere, denunciando la vita di città, ed elogiando la pace e la serenità della natura.
Intensa come poche, River Song è senz'altro quella canzone, che se anche non vi interessasse il disco in se, bisogna ascoltare.
La seconda, What's Wrong, è un pezzo che prende le sue radici nel R&B, molto piacevole ma senza bissare la passione della prima, Moonshine invece, è un pezzo piu tendente ad un formato per radio FM, ma conFriday Night, Wilson, riesce a ricreare sonorità piu ricercate, e con un intro di sintetizzatori, che ci fa calare perfettamente nei panni di chi ha bevuto un boccale di troppo, e con il suo vocione, decanta il suo amore per il rock'n roll, come autentico "cibo per l'anima".
Un altro pezzo da segnarsi è sicurament Dremer, che con una sezione di fiati si lterna con chitarre distorte ed un roco blues da molo.
Le canzoni che vanno da qui a Pacific Ocean Blues purtroppo soffrono il peso degli anni, mentre arrivati alla Title Track, ci troviamo davanti un ottimo Funk R&B, originale e ancora bellissimo da ascoltare, e lo stesso vale per le due tracce successive, Farewell My Friend e Rainbows,

seppur con un orientamento piu soft, risultano ancora piu che piacevoli, ma è con End of The Show che ritorniamo ai grandi livelli di Dennis.
End of The Show, è senz'altro il pezzo pefetto per concudere un disco, ancora di piu, se è Pacific Ocean Blue. Purtroppo ( o per fortuna) quest'armonia è spezzata dalle tre bonus tracks aggiunte nella ristampa del 2008, in cui riemergono i sentimenti fondamentali a Dennis per incidere i suoi pezzi, ed ognuno di questi tre "nuovi arrivati" costituiscono i pezzi di un mosaico piu grande, che non è Pacific Ocean Blue, ma è Dennis Wilson stesso, un uomo che sapeva ancora provare passione e amore, per ciò che lo circondava.
Se con i Beach Boys, Dennis (nonostante i pochi interventi compositivi da lui apportati al repertorio dei fratelli Carl e Brian) ha fornito la colonna sonora ideale per una giornata di Surf tra le onde della california, in puro stile "un mercoledì da leoni", in Pacific Ocean Blue, ci ha regalato le composizioni perfette per la sera successiva, mentre si osserva il sole che si spenge lentamente nell'oceano, guardando i contorni arancioni di tutto ciò ch ci circonda, stanchi, con ilsalmastro ancora impregnato nei capelli, e l'aria impregnata dal fuoco che brucia nei bivacchi della notte. E con uno stereo acceso, con Dennis che canta, immerso nel fascino, di quel tanto amato oceano.


venerdì 26 novembre 2010

Wolfmother - Wolfmother

Chi ha detto che il rock nel 2000 è entrato in coma, non ha fatto i conti con l'Australia.
Già, perchè è proprio dalla terra dei canguri che ci ha dato gli AC/DC che arriva la
(allora) formazione a tre degli Wolfmother, composta da Chris Ross al basso ed alle tastiere, Myles Heskett alla batteria, ed il geniaccio da cui deriva tutto, Andrew Stockdale, compositore, chitarrista e cantante.




Gli Wolfmother sono nati nel 2003, ed escono col loro primo album di produzione mondiale, dapprima in Australia sulla fine del 2005, e poi, nei primi mesi del 2006 in tutto il mondo, ottenendo immediatament un grande seguito e molti apprezzamenti, e vengono inoltre scelti per suonare Communication Breakdown all'introduzione dei Led Zeppelin alla Rock'n Roll Hall Of Fame, ma durante il 2008, a causa di divergenze interne, gli Wolfmother rischiano lo scioglimento, che però si conclude "soltanto" con l'allontanamento di Chris e Myles, che vengono rimpiazzati nel corso dell'anno, in tempo per la pubblicazione di un secondo disco, Cosmic Egg, uscito nell'ottobre del 2009 in tutto il mondo, e che io non ho ancora sentito, non potendo quindi commentarlo in alcun modo, tranne che per qualche pezzo quà e là passato alla radio, che però sinceramente, non mi ha entusiasmato piu di tanto.

Il primo disco della formazione originale invece, è uno dei migliori esempi di hard rock/stoner usciti negli ultimi anni, che unisce sapientemente le basi dell'hard dei Led Zeppelin, AC/DC e gli Who, la psichedelia visionaria dei Doors, la furia del garage rock degli MC5, il doom metal delle basi dei Black Sabbath, ed ovviamente, un incredibile quantità di stoner direttamente dai Kyuss (considerati da Stockdale, fondamentali per l'esistenza degli Wolfmother).

Il primo pezzo assomiglia veramente ad un brano della prima formazione dei Black Sabbath, Dimension, venato di Kyuss e molto pesante, un inizio, che per gli anni in cui è pubblicato, è semplicemente sbalorditivo, anche se molto, forse troppo, legato alle sovracitate band.

Piu originale è invece White Unicorn, eccezzionle pezzo in cui abbiamo un grande stacco pulito/overdrive, e dove si evidenziano anche le grandiose potenzialità vocali di Andrew Stockdale, oltre che ad uno psichedelico finale di tastiera, e ad una batteria potente e mai esagerata, un brano hard stoner che finisce in una morbida psichedelia.

Al numero tre abbiamo la famosissima Woman, che a mio parere, è però inferiore rspetto ad altri pezzi veramente eccezionali presenti nel disco, ma che comunque non costituisce una caduta di tono, quanto piu che altro una ripresa delle sonorità già sperimentate, ed anche il testo non è particolarmente originale, decisamente piu accattivante è Where Eagles Have Been, introdotta da un morbido intro acustico, e dove spaziano i pesanti e cadenti accordi di Andrew, intervallati da stacchi brillanti di basso, e con un altro eccezionale finale psichedelico, costruito con organi psichedelici, e con un brillante e semplice assolo, in cui Stockdale dimotra la sua grande abilità di chitarrista, capace di mischiare ritmi tipicamente stoner, con assoli molto hard, semplici ed efficaci, senza mai cadere nel banale, e senza scadere nell'eccesso.




Ma è con Apple Tree che si comincia a fare sul serio, un pezzo piu raffinato e dove ritorna lo stoner del deserto, e subito dopo, Joker & The Thief, forse la punt di diamante del disco, la piu originale, la piu significativa, e forse anche la piu famosa, brillante e visionaria, si fa notare grazie all'intro di chitarra che sfiora lo space rock degli Hawkind per tornare improvvisamente su di un riff molto hard, sostenuto da un accoppiata di basso e batteria semplicemente unico, si tinge di psichedelia sul finire, ed entra di diritto nella rosa del gruppo.

Nonostate il capolavoro che è Joker & the Thief, il pezzo di cui piu mi sono innamorato di questo disco è sicuramene il seguente, il pezzo stoner per eccellenza, Colossal.

Non ci sono cadute di tono, non c'è un minimo cedimento di adrenalina, il tutto gira attorno ad uno splendido riff, che dimostra ulteriormente le grandi capacità di Stockdale di unire abilità e semplicità, oltre al suo lavoro di songwriting, che raggiunge in questo pezzo, livelli altissimi, e lo stesso si ripete con Mind's Eye, da cui è stato anche estratto un singolo ed un video molto gettonato.

Con Pyramid abbiamo nuovamente a che fare con un brillante campione dell'originalità degli Wolfmother, mentre con Witchcraft, a mio parere, abbiamo un leggerissmo cedimento, ma niente paura, ci pensano Tales, intervallata da stacchi di acustico/overdrive, Love Train, con una forte ripresa di hard stoner, e Vagabond, un acustico (intervallato da muri di suono imponenti) pezzo dedicato all'amore ed alla vita libera, in linea con ideali hippy trasmigrati nel 2000.

Per potersi gustare al massimo questa perla, sarebbe inoltre necessario procurarsi il DVD , Please Experience Wolfmother Live, in cui vengono riproposti tutti i brani con un energia unica, dimostrando il grande valore che questa band aveva nella sua formazione originale. Purtroppo il secondo disco è stato cinsiderato molto inferiore al primo, ma non è il caso di gettare subito la spugna: aspettiamo il terzo Wolfmother.

giovedì 7 ottobre 2010

The Ramones - It's Alive

Cosa è il punk oggi? Citando Bon Scott, "niente piu che un gruppo di ragazzini che urlano Anarchia e Stupro, ma che alla fine non sanno nemmeno suonare" .

E guardando ai gruppi che ne compongono le file, la descrizione che ne dà Bon è incredibilmente immediata e precisa.
Ma da qualche parte questa gente dovrà pur aver preso l'idea di poter fare musica senza sapere cosa stavano facendo, senza saper suonare e senza capire perchè erano in quella situazione. E l'idea è venuta dalla "santa" trinità del punk delle origini, coloro che avevano preteso con la forza di dire no ai virtuosismi musicali ed alle eccedenze contro cui il rock stava profonando, facendo marcia indietro, e loro, i primi ed i piu puri, questo se lo potevano permettere: gli incompetenti, odiosi, inutili e orribilmente sopravvalutati Sex Pistols, gli agguerriti e feroci Clash, e coloro che piu di tutti riescono ad unire i punk ai rockers di tutto il mondo, i velocissimi, sfrenati, esuberanti e divertenti Ramones!

Nessun gruppo sarebbe mai riuscito a ripetere quella sequenza di power chord senza limiti che prendeva spunti direttamente dal rock'n roll delle origini (i Beach Boys ne sanno qualcosa).


I Ramones nascono alla fine degli anni settanta a New York con la formazione di Johnny Ramone alla chitarra, il gigante Joey Ramone alla voce , Dee Dee al basso ed il carismatico Tommy Ramone alla batteria, la formazione dei primi sconvolgenti album, tra cui cito i due piu importanti, il primo omonimo album "Ramones" ed il capolavoro in studio "Rocket To Russia".

Ma per assaporare al massimo la loro potenza, i Ramones hanno all'attivo di questa formazione hanno un autentico gioiello in sede live, ed è proprio questo It's Alive!

Registrato la sera di capodanno del 1977, a Londra, questo disco contiene il gruppo alla sua massima potenzialità, con un scaletta incredibilmente lunga (ben 28 pezzi per un solo disco) e completativa.

La partenza non risparmia nessuno con Rockaway Beach, che apre le danze dopo l'attacco "one-two-three-four.." che si ripeterà pressochè sempre durante il disco.

Descrivere ogni singolo pezzo di questo disco è un impresa del tutto vana, perchè credo che tutti possiamo affermare che i Ramones non hanno mai brillato per originalità compositiva, e si tratta perciò di pezzi di purissimo Punk Rock, che consiste in una rivisitazione del rock'n roll dei 50, condito con la lezione dell'hard'n heavy dei primi settanta, con canzoni veloci, che entrano subito in contatto col favore del pubblico, grazie a testi attinenti alle problematiche sociali di quasi tutti i ragazzi di quel periodo, trattati con ingenua enfasi e con inni da stadio unici nel loro genere.

La scaletta lascia poco a pensare: Bltzkrieg Bop è la punta di diamante del gruppo, con quel tormentone di "Hey-Ho-LET'S GO!" che tanto galvanizzava i fan di tutto il mondo, con il riff di Johnny forse piu coosciuto ed imitato, Sheena Is A Punk Rocker, un altro pezzo che entra di diritto nei classici della band, Commando, una specie di colonna sonora per il Vietnam (alla quale, ahimè, Johnny si dichiarerà molti anni piu tardi, favorevole, lodando inoltre il partito repubblicano ed il Presidente George W. Bush. Nessuno è perfetto),

Surfin Bird, il pezzo cover dei The Trashmen, con l'epica "Don't you know, about the bird, everybody knows the bird is the word?", la colossale Cretin Hop, traccia di apertura del loro capolavoro, Rocket To Russia, Chainsaw e California Sun, che presenta qualche cambiamento interessante negli stacchi, la cover dei Beach Boys, Do You Wanna Dance, dove piu che mai sono evidenti le radici dell'America anni 50 che i Ramones mostrano 30 anni dopo, quando ormai l'età del conformismo post bellico era storia, e l'ombra della grande bomba rossa si affacciava prepotentemente nella vita di tutti gli Stati Uniti, dando inizio alla Rivoluzione dei '60, e che da li a poco avrebbe incontrato il suo degrado con la fine dei 70, e dove i Ramones reclamavano il loro posto in cima alle vette discografiche.

E sono ancora tantissime (troppe!) le canzoni che meritano di essere ascoltate in questo disco (prendiamo Judy is a Punk e We're a Happy Family solo per citarne alcune), ma è innegabile come il riuscire ad ascoltare l'intero disco tutto d'un fiato sia un impresa degna di nome, ma che almeno una volta nella vita bisogna sperimentar
Insomma, in questo disco, i Ramones hanno racchiuso per intero il loro lavoro là dove meglio gli riusciva: davanti al loro regno di giubbotti borchiati e jeans attillati !

E coe sempre...

GABBA GABBA HEY!

sabato 2 ottobre 2010

Quatermass - Quatermass

Avete presente quando sfogliate libri o riviste musicali e vi cade l'occhio su di una foto che vi rapisce fin dal primo istante? Bè, talvolta mi è capitato, e per i Quatermass, è una di queste occasioni.
Stavo leggendo un libro della collana Atlanti Musicali della Giunti, il volumetto sul Progressive Rock, e sfogliando, arrivo ad una mega foto divisa in due pagine che introduce il secondo capitolo, dedicato ai gruppi minori.


La foto, colpisce subito per l'impatto dei colori tendenti verso il grigio, e rappresenta un gruppo di pterodattili che volano in mezzo a ciò che sembrano due grattacieli scagliati verso il cielo (ma che potrebbero essere benissimo tutt'altro), ed è firmata dalla intramontabile Hipgnosis, lo studio fotografico autore delle copertine della maggior parte dei dischi dei Led Zeppelin (da Houses of The Holy in su), dei Floyd (la prossima volta che vi chiederete di chi sia stata l'idea del prisma, della mucca e dell'uomo in fiamme andate a rivedrvi questi ragazzi) degli UFO, ELP, Genesis, AC/DC e tanti altri ancora.

Basta uno sguardo, e già decido di approfondire. Ricerco allora sul libro gli autori di quel disco, e li trovo: Quatermass.

E da li, la curiosità non ha accennato a smorzarsi. Il gruppo infatti risultava composto da soli tre elementi, com per gli ELP, e che avessere lasciato ai posteri unicamente un disco (Quatermass II non contiene che il batterista Mick Underwood della formazione originale, ed è pubblicato oltre 20 anni dopo il primo, ben dopo lo slpit off del gruppo.

Inutile dire che i passi successivi sono stati solo due: Procurarmi il disco ed ascoltarlo.

I Quatermass, composti da John Gustafson, basso e voce, Pete Robinson, tastierista ed il già citato Mick Underwood alla batteria, si uniscono e pubblicano questo disco nel 1970, forgiando una lega di Hard Rock e progressive che ricorda una possibie fusione tra Deep Purple e ELP.

La prima traccia è una sorta di introduzione (Entropy) ed è una sinfonia visionaria e sognatrice in cui risaltano gli organi di Pete e il basso condito di wah wah di Gustafson, ma precipita ben presto in un frenetico stacco di sintetizzatori, poi il terreno viene battuto nuovamente dalle tastiere, ed infine la batteria apre le danze con un ritmo martellante e sostenuto, regalandoci Black Sheep Of The Family, uno dei pezzi piu brillanti ed esaltanti del disco, che in tutta la sua ideologia giovanie non cade mai nel banale, ed anzi, riesce ad essere espressiva ed originale, tanto che persino i Rainbow di Ritchie Blackmore la coverizzeranno nel loro primo disco, in una versione, che seppur gradevole, non raggiunge i livelli di questa creazione originale.

Il secondo pezzo, Post War Saturday Echo, si apre ancora una volta con un introduzione di organi dal sapore epico e monumentale, ma lascia presto spazio ad un pezzo che ha piu (ma molto piu) del blues che del progressive, è una straziante visione di una realtà devastata, un pezzo dove il delay ha un ruolo cardine, ed è, a mio parere, il pezzo piu interessante e meglio riuscito di tutto il disco, una vera e propria combinazione di tempi e generi, una fusione di progressive spermentale e blues elettrico senza precedenti, che non lascia prigionieri. Epico.

Il pezzo successivo è Good Lord Knows è invece piu orientato verso un folk dallo stile sacro, quasi fosse una preghiera, e ci manca veramente poco, dove i sintetizzatori non si risparmiano, ed è senz'altro gradevole anche questo tutto forchè scontato e piatto, anche se si tiene in un piano piu rilassato che i prezzi precedenti, ma niente paura, Up On The Ground riprende in pieno le sonorità piu Hard Rock che possiate desiderare, e non si risparmia in potenza, ed è in questo pezzo che Mick Underwood e John Gustafson tirano fuori le loro abilità musicali che non hanno nulla da invidiare ad altri musicisti loro contemporanei, ed anche qui una buona dose di stacchi di tempi e ritmi ci tengono col fiato sospeso, cosi come Gemini, che spazia liberamente dall'Hard al progressive piu spaziale e poetico, e risultano addirittura avanti con gli anni rispetto al resto del nascente Progressive di quegli anni. Personalmente, temo che sarebbero stati in pochi a poter rivaleggiare con un gruppo del genere.

Make Up Your Minde parte purtroppo come un mezzo passo falso, lasciandosi indietro quegli arrangiamenti che fanno la differenza del disco e lasciandosi andare, quasi affossandosi, ma riprende presto quota e ripristina la grandezza che ci si aspetta, con una grande presenza dell'organo, e che diventa un autentica jam progressive dopo i tre si lasciano completamente andare all'improvvisazione in un pezzo che trasuda abilità da tutte le parti e non lascia spazio alle diffidenze.


In Laughin' Tackle abbiamo quello che è forse il pezzo piu ELPiano, piu progressive in assoluto, e dove ritroviamo un ulteriore dimostrazione delle abilità di improvvisazione. Questa volta a fare da padrone nella seconda parte del brano è Mick Underwood, che martella la sua batteria con l'abilità, la maestria e la furia di un intera sezione ritmica, che non stanca e non smentisce le aspettative, e si mantiene alto grazie anche alla presenza di un intera sezione di archi, tra violini, viole, violoncelli e contrabbassi ci portano avanti nel futuro di 10 anni, anticipandoci quella che sarà la musica del domani.

Ed a chiudere il disco orginale è la seconda, melodia parte di Entropy (Reprise), ma per chi avesse (come il sottoscritto) la ristampa in cd, ci sono altre due tracce, la rockeggiante One Blind Mice, che non risparmia colpi e riporta i ritmi al defibrillatore del lato piu Hard, e Punting, la piu eccentrica e visionaria delle tracce, piena di effetti di condimento, come wah per il basso, assolutamente assurdo e geniale, da non perdere per niente al mondo.

Un disco, in conclusione, che è una piccola gemma del Progressive Rock, anzi, un autentico Cult,

che consiglio vivamente a tutti, e nel caso vogliate dare un ascolto a qualhe canzone prima di convincervi, provate Up to The Ground e Post War Saturday Echo, non potete sbagliare.

Per saziare la curiosità di tutti, infine, accenno a ciò che è stato il futuro dei membri del disco dopo lo scioglimento: John Gustafson ha continuato a lavorare come session man per artisti e gruppi come Roxy Music e Ian Gillan Band, stesso destino per Mick Underwood, che oltre ad aver pubblicato dei dischi da solista, ha dato luce al sopracitato Quatermass II, mediocre Hard Progressive, e per Pete Robinson.

Buon ascolto gente.

venerdì 17 settembre 2010

Le Orme - Uomo di Pezza



Uno dei nomi che più ha lasciato il segno all'interno della fecondissima scena progressive italiana è sicuramente
quello de "Le Orme". La formazione, attiva fin dalla seconda metà degli anni 60 come gruppo beat, giunge alla svolta prog
con l'avvento del decennio successivo quando, con Aldo Tagliapietra al basso e alla voce (e occasionalmentee chitarra acustica),
Tony Pagliuca alle tastiere e Michi dei Rossi alla batteria pubblica Collage, caposaldo del genere non solo all'interno
del nostro paese ma anche all'estero. La consacrazione avviene però con
l'album successivo, pubblicato nel 1972: Uomo di Pezza. Questo disco racchiude un perfetto mix di influenze provenienti
sia dalla musica classica (Bach su tutti) che dalla musica popolare italiana unite alla sperimentazione avanguardistica
con il massiccio uso del Moog (uno dei primi gruppi al mondo ad usarlo).
Pure ai testi viene dato un ampio spazio, essi sono molto difficili da interpretare, poetici e descrittivi,
anche se spesso rappresentano soggetti molto diverse da quelli
che una prima lettura potrebbe lasciar trasparire. Il disco si apre con "Una dolcezza nuova",
lunga introduzione in cui una melodia di Bach al piano si confronta con la dolce voce di Tagliapietra e con gli altri
strumenti moderni suonati in maniera inconfondibilmente 70's. A seguire vi è "Gioco di Bimba": probabilmente la traccia
più famosa del gruppo, in cui viene affrontato il tema di uno stupro a danno di una innocente bambina raccontato in modo
molto enigmatico e affiancato ad una musica quasi fanciullesca."Una porta chiusa" invece
è il pezzo che rappresenta la parte più progressive e moderna del gruppo: in un crescendo e decrescendo quasi costante,
cambi di tempo improvvisi e un testo cantato in melodia inquietante la band da il meglio di se sul piano tecnico e creativo.
Il titolo della quarta canzone invece, "Breve Immagine", dice già tutto da cosa aspettarsi in questo pezzo:
la traccia è molto breve dato che non supera i 3 minuti: cosa assai rara nel genere, mentre il testo descrive un immagine sola,
probabilmente un ricordo affievolitosi con il tempo. Il disco nel frattempo scorre e arriva alla canzone più orecchiabile:
"Figure di Cartone", qui la melodia è molto legata alla tradizione pop italiana e forse creata anche per avere
successo fra il pubblico di massa, ma se si pone più attenzione e un orecchio più critico si nota che è il moog a farla
da padrone, prima con un riff molto coinvolgente che a metà pezzo sfocia in un assolo improvvisato che può sicuramente
essere annoverato come uno fra i migliori della storia: non c'è altro da aggiungere, va ascoltato e basta.
"Aspettando l'alba" racconta invece in chiave romantica l'avventura di due ragazzi sulla spiaggia ad aspettare il crepuscolo.
A livello musicale invece questo rappresenta il massimo per il gruppo dal punto di vista sperimentale, il suono del flauto
e la melodia dei sintetizzatori raggiungono atmosfere molto particolari e di rara bellezza.
Infine Alienazione funge da pefetto outro, uno strumentale di 6 minuti che, anticipando i Goblin in una musica veloce
e quasi horror trasmette paura, e desiderio di fuggire da questo mondo che forse per una convinzione non necessaria chiamiamo reale
ma che alla fine nessuno può dirci se lo è davvero. Per concludere, è sicuro che "Uomo di Pezza" ha fatto la storia
della migliore musica italiana e continuerà a rimanere nei cuori di tanti appassionati per lungo tempo, continuando
a crearsene di nuovi, perchè è il segno di come anche il nostro paese quando si impegna riesce a creare musiche che non
hanno niente da invidiare a nessuno.

martedì 14 settembre 2010

Kyuss - Welcome to Sky Valley

Kyuss. Kyuss. Kyuss. Quante volte li ho sentiti nominare. E quante volte non sono stato in grado di identificarli musicalmente. Mai sentito un brano, mai capito da che parte stessero, mai niente di niente, solo quel nome che occasionalmente ricorre (basta guardare negli archivi del sito).

Ma un giorno, sfogliando una guida dei gruppi, capito alla paina dei Kyuss... e qualcosa cattura la mia attenzione con la stessa forza d'atrazione di un buco nero....quel disco, quel Welcome to Sky Valley datato 1994. Ma non a caso, c'è un elemento ben particolare che mi colpisce.....la copertina. Unica, brillante, semplice, geniale, con quel cielo rosato, un paesaggio oscuro e illuminato solo dai fari di un crtello con la sua emblematica incisione : "Welcome to Sky Valley"
+
Subito decisi che quel disco, per quanto alieno mi fosse, meritava di essere ascoltato (complici anche le ottime recensioni che avevo su di loro da parte dei miei amici, e la mia voglia di conoscere meglio la corrente Stoner Rock)

Cosi, nel giro di una settimana il disco era nel mio stereo. E non ha lasciato superstiti.

La partenza a razzo con Gardenia chiarisce già le idee a chi (come me) non sapeva con chi avere a che fare. La chitarra distorta di Josh Homme, accompagnata dalle ritmichedi Brant Bjork (batteria) e Scott Reeder (basso) creano un muro di suono che definirei con il termine "altovolume" quasi coprono John Garcia, ed insieme tengono alto il termine Stoner nel disco, cn splendite trovate sonore, unendo la durezza del metallo alla melodia e l'ipnosi della psichedelia, senza mai abbassare di una tacca gli amplificatori.

Gardenia è la prima traccia della prima delle tre trilogie che compongono il disco, che prosegue con Asteroid, un pezzo che potremmo definire gli Hawkind del '94, e con Supa Scoopa And Mighty Scoop, forse il pezzo piu famoso del gruppo, il brano forse piu duro e devastante del disco, stoner al massimo livello, una vera bomba atomica alla quale non si può sfuggire, si distingueper i cmabi di tempi micidiali che lasciano a bocca aperta chi lo ascolta, in particolare nell'ultima parte della canzone, dove si stenta a riconoscerne la fine, concludendo cosi la prima trilogia.

La seconda si apre con 100°, veloce e pesante pezzo in conformità con gli standard del gruppo, dove trova posto anche un intermezzo funkeggiante, eseguio con la slita abilità di Josh con lo Wah, e che ci porta a Space Cadet, un pezzo acustico, assolutamente geniale, a parere personale, il miglior pezzo del disco, ipnotico e spaziale, definita da alcuni critici come "Asimov in california", e che non stona affatto come definizione, un autentico viaggio mentale attraverso le profondità dello spazio piu remoto, un esperienza unica, che dà piena forma ed espressione al disco, completandolo e donandogli il grado di leggendarietà che lo accompagnerà da li in poi.


E' una svolta sonora notevole, quella ottenuta con questo pezzo, che diventa un autentico calderone di psichedelia senza frontiere.

Ma subito dopo, con Demon Cleaner, altro pezzo di grande riscontro di pubblico, ed sicuramente uno di quelli piu ripresi anche come cover, un buon pezzo di stoner rock, cosi come Odyssey, ancora piu spaziale e pirotecnica della precedente, con un ottima prova per il cantante, assolutamente imperdibile che porta avanti la leggenda del disco, che non risparmia colpi con Conan Troutman, che apre l'ultima parte del disco con una fulminante potenza nella batteria e negli scambi di chitarre distorte di Josh, che le porta ad un orgasmo allucinante, e che riprende subito con N.O. , un altro esempio della grande originalità con cui è forgiato il disco, e che finisce con Whitewater, altra gemma dei Kyuss, che di li a poco sarà ripresa dai gruppi Alternative della seconda metà dei '90, come gli Smashing Pumpkins.

E' un pezzo pesante, ma con una grande musicalità e con i consueti cambi di tempo, veri e propri marchi d fabbrica del gruppo, dove Homme dà prova delle sue abilità soliste, dove gioca con un tira e molla con chi lo ascolta, e... con una Ghost Track poco dopo la fine della canzone, su cui non vi anticipo niente, senza correre il rischio di rovinarvi ilpiacere dell'ascolto.




Quindi dire senza troppi problemi, che Welcome To Sky Valley è un disco a dir poco fondamentale per chi si definisce un ascoltatore serio... e che personalmente giudico una grande prova della genialità musicale di artisti che nonostante i periodi magri (anche se gli anni novanta sono stati la culla del Grunge e dell'alternative seria) riescono a farsi vedere per quello che sono: un gruppo coi conrocoglioni.

venerdì 27 agosto 2010

Blackfoot - Highway Song Live

I Blackfoot sono probabilmente uno di quei gruppi che uniscono i fan di varie entità, unendo hard rock '70 al primo heavy metal, ma rimanendo uno dei migliori gruppi di puro Southern Rock, insieme a Lynyrd Skynyrd, Molly Hatchet, Allman Brothers Band e Creedence Clearwater Revival.
La formazione per questo disco comprende Rick Medlocke, voce e chitarra, Jackson "Thunderfoot" Spires alla batteria, Greg T. Walker al basso e Charlie Hargrett alle chitarre ritmiche e solista, e presente il gruppo in uno dei suoi momenti piu alti, non a caso inserito in classifica da Classic Rock tra i 50 live migliori della storia.

La partenza è devastante, con un southern veloce che non lascia prigionieri, Gimme, Gimme, Gimme, e non si ferma nemmeno con Every Man Should Know (Queenie) traccia piu ritmata e con assoli brillanti e pieni di carica blues, con stacchi piu leggeri, giocando su di un tira e molla che va avanti per tutto il pezzo, un grande inizio per questo gruppo che sembra intenzionato a non avere mezze misure per nessuno, e Good Morning suona tanto di Aerosmith in tinta Southern Rock, un ottimo pezzo in puro stile seventies, con tanto di partecipazione attiva del pubblico per i cori, e con una serie di scambi di assoli senza rivali.

I ritmi si appesantiscono con Dry Country e con Rollin' & Tumblin', veloci e martellanti, lasciano il posto a Fly Away, un pezzo un tempo piu simile ad una tranquilla ballad, ci viene presentata in puro stile Arena Rock, uno dei momenti piu alti del disco, nonostante la presenza di Southern si faccia sempre piu labile, i grandissimi assoli bluesy, i ritmi hard e la voce al whisky di Rick Medlocke si fanno onore senza mai perdere colpi.



E senza farci rimpiangere le paludi della louisiana ed il deserto del Texas, tenendo alto il nome del sud con la S maiuscola, con tanto di bandiera confederata, Road Fever è quel perfetto cocktail di hard sudista, e con Trouble in Mind ritorna invece quel blues affogato con Jack Daniel's che tanto ci piace, senza risparmiarsi in improvvisazioni degne dei migliori Hatchet, un pezzo ideale se riuscite ad immaginarvi in sella ad una Harley Davidson, l'autostrada infinita, il deserto in cornice ed un tramonto che tinge di arancione il vostro chiodo sgualcito ed impolverato.

In parole povere, un altro pezzo cardine, tiratissimo sul finire, con un grande tira-e-mollta tra Rick e Charlie, e per i piu tradizionalisti, Train Train rappresenta il massimo in fatto di bluesy per questo disco, un introduzione con armonica, un intro cavalcante di batteria/chitarra, un altra grande prova di riuscire a tenere caldo e partecipe il pubblico, e finalmente una slide guitar, dove i colpi non si risparmiano.

Ed ovviamente, con quale pezzo si può chiudere un disco cosi folgorante? Ovviamente, con la lunga Highway Song, la perfetta conclusione per un autentica calvalcata nelle radici del Southern.
Alcune persona criticano il disco per la mancanza di vero Southern, e lo considerano un prodotto troppo estremo per i loro gusti, ma a mio parere questo disco incarna perfettament quello spirito ribelle e puro da contaminazioni esterne che tanto hanno devastato la buona musica, e penso che tutti debbano pagar tributo, ad un disco cosi grintoso, che nonostante gli anni non perde lo smalto. Nemmeno dopo l'ultima (vera) traccia, Howay the Lads. Per chi ha sperimentato il disco, non occorre altro !

Dr. John - Gris Gris


E' stato molto piu facile di quello che pensavo, scoprire questo grande artista di New Orleans, il quale purtroppo rimane molto poco conosciuto in italia. Stavo riguardando Angel Heart, un film degli anni 80 con Mickey Rourke e Robert DeNiro, film che vi consiglierei, un thriller/horror ambientato a metà tra la fredda New York e la calda Louisiana di New Orleans degli anni 50.
Durante una scena, il protagonista, Harry Angel (Rourke) segue un vecchio bluesman, Toots Sweet, ad un rito Voodoo nel cuore della notte, e durante l'inseguimento, a fare da sottofono è una canzone leta, cupa, con quella voce dannata e roca, quasi un autentica canzone voodoo.
La mia reazione è immediata: all'1 e mezza di quel 29 giugno, mi metto a caccia dell'artista della palude. Provo su vari siti, ascolto varie canzoni che risultano sulla colonna sonora, ed alla fine, spunta lui: Dr. John, the night tripper.

La canzone del film era Zu Zu Mamou, che non appare in questo disco di cui stò per parlare, ma che vi consiglio vivamente di ricercare, dall'album The Sun, Moon & Herbs.

Questo disco è invece il suo debutto discografico del 1968, che per sonorità si può definire come un mix di canti Voodoo, musica tipica di New Orleans e R&B. Un genere indefinito per intenderci.

La prima traccia è Gris Gris Gumbo Ya Ya, un pezzo di cupissimo, tenebroso voodoo blues da palude, che mi ha tenuto compagnia durante le notti di luglio passate a leggere un libro sulla Louisiana (ad opera di Vittorio Franchini; Il Paese Della Musica Felice : Jazz, Voodoo, Alligatori)
Il testo si riferisce a Dr John, ma quello originale, ovvero, un popolare sciamano voodoo vissuto durante l'800, il titolo stesso, Gris Gris, è un richiamo al voodoo, in quanto si tratta di amuleti e portafortuni, erbe magiche e bambole voodoo.

La seconda traccia, Danse Kalinda Ba Doom, è ancora piu tipicamente popolare per la musica della louisiana, una vera e propria rivisitazione di canti popolari, molto interessante, anche se purtroppo suona oggi come un prodotto datato, ma stessa cosa non si può dire per Mama Roux, questa volta piu incentrato sul R&B di New Orleans, e di nuovo con un testo all'insegna della pratica del voodoo.

Dance Fambeaux è di nuovo un pezzo R&B con l'aggiunta dei cori popolari, con i bassi tirati al massimo ed una chitarra da festa popolare che ci accompagna per tuta la sua durata, ma con la quinta traccia, Croker Courtbullion è di nuovo un potente inno voodoo, pieno di atmosfera, con un piano ed una chitarra che si amalgamano in un tenebroso scambio psichedelico.


Jump Sturdy ritorna alle sonorità di musica popolare, ma purtroppo risente di sonorità ormai datate, e che non possono riaffermarsi ora come allora.

Ma il disco si chiude in bellezza, con l'ottima I Walk on Guilded Splinters, uno di quei pezzo che si va ad inserire nella lista dei "pezzi voodoo", un pezzo d'atmosfera, che sicuramente avrà occupato un posto di prima categoria durante le esibizioni di Dr John, che ha sempre fatto ricorso a grande teatralità ed a grandi scenografie.

Per quest'ultimo pezzo suggerisco anche di ricercare la rivisitazione degi Humble Pie fatta su Performance : Rockin' The Fillmore!

Non si tratta di un disco che a tutti può piacere, vuoi per questo vuoi per quello, ma se volete sperimentare qualcosa di assurdamente unico, procuratevi questo disco!

sabato 14 agosto 2010

Foghat - Live



Foghat. Un nome legato ad un unica canzone, quella Slow Ride che tanto è stata usata nei media americani, tra cinema (Svalvolati on The Road; La vita è un sogno), televisione (I Griffin) e videogiochi (GTA San Andreas; Guitar Hero III), ma che non rene giustizia al gruppo. Perchè limitarsi a Slow Ride? Avete mai sentito un isco dei Foghat? Bè, se non lo avete fatto, prendete Live, e mi saprete ridire se è giusto fermarsi a quell'unico pezzo (nonostante questa premessa, non voglio dire che i Foghat siano stati uno dei gruppi cardine dell'Hard Rock dei 70, citando la rivista Classic Rock "Non possiamo dire che senza i Foghat il rock come lo conosciamo noi non sarebbe esistito. Siamo però sicuri, che per i teenager dei 70, la musica sarebbe stata molto meno divertente!)

Il disco si apre con il classicone Fool For The City, dal Disco omonimo, punto massimo raggiunto dal gruppo inglese, capitanato dal cantante chitarrista Dave Peverett, che insieme a Rod Price alla Slide Guitar, Roger Earl alla batteria e Craig MacGregor completano la formazione storica del gruppo, la canzone procede senza grandi dimostrazioni di improvvisazioni o di scambi del publico, ma mantiene tutta la carica che il guppo vuole trasmettere.

A seguire è Home in my Hand, puro hard rock da stadio, dove questa volta il feeling col pubblico è piu preente, e dove il gruppo si mostra anche piu deciso, in particolare per Rod Price, che si sbizzarisce con i suoi assoli, con un buon taglio bluesy, senza compromettere le sonorità pu hard.

E parlando di blues, in quanti hanno il coraggio di ammettere di non conoscere I Just Want to Make Love to You?

Perchè è proprio la cover del famosissimo brano di Willie Dixon ad occupare il terzo posto della scaletta, appesantito quanto basta di hard rock sanguigno, ma con una vena che sgorga blues da tutte le direzioni, un sonoro ritmo hard blues che si fa accompagnare da ritmi piu funkeggianti e da assoli ben dosati ed esaltanti, tirati ma senza eccedere nella noia tecnicista.

La canzone, per chi non la conoscesse, è l'emblema della vita hard rock, senza troppi sentimentalismi, senza eccedere nel romanticismo sdolcinato e "di plastica" (che tempo 5 anni farà la fortuna di molte,troppe band Hair Metal).

A seguirla è Road Fever, classica Highway Song, piena di boogie'n roll, con tanti assoli conditi con wah wah, e slide guitar, buona dimostrazione dello spirito di divertimento e sfrenatezza su cui vive il gruppo, che si ripete in Honey Hushun disco fatto di riff semplici ma efficaci, con ritmi sfrenati, ma che non riescono a conferire quell'importanza storica al gruppo, che riesce con questi due pezzi, a dare "solo" due granitici hard blues ai posteri ( e che personalmente adoro), anche se in questo pezzo, lo spazio lasciato all'improvvisazione è piu ampio, e concede anche un botta e risposta tra i due chitarrist Dave e Rod.

Ed infine, la sesta traccia, è la tanto attesa e desiderata, Slow Ride, introdotta dal grido di battaglia di Dave, "ARE YOU READY? ARE YOU READY TAKE IT, SLOOOW RIDE!".

Il pezzo culto, simbolo di una generazione segnata dal rock'n roll, qui riproposta nella sua versione per intero, di oltre 8 minuti, assolutamente imbattibile, poichè, nonostante si senta la mancanza del grande bassista Nick Jameson, la potenza e l'esaltazione che trasuda, merito della carica che contiene ogni concerto rock che si rispetti.

Perciò credetemi, non perdete tempo e non rosicate con Slow Ride e basta. I Foghat valgono molto di piu.

domenica 11 luglio 2010

Furyon - Underdog Ep


Ieri ho preso, com ogni mese, Classic Rock, massima rivista di musica Hard Rock/Heavy Metal/ Blues a livello mondiale, direttamente dall'Inghilterra. Generalmente, è abitudine della rivista, inserire un disco promozionale all'interno della rivista, che contiene nomi vecchi e nuovi, dagli UFO alle Heart, dai Voodoo Johnson agl Heaven's Basement, oltre a Saxon, Fairport Convention, Foghat, Alice Cooper e mille altri.

Ma nel numero di questo mese, oltre al solito disco, (un album del front man dei Def Leppard fatto di cover, principalmente di pezzi Glam Rock di Ian Hunter e dei Mott The Hoople) ho trovato un piccolo disco composto da tre pezzi, una specie di dischetto promozionale con un anteprima del disco di debutto di una nuova giovane band inglese, heavy metal a-go-go, direttamente da Brighton, i Furyon.

Il dischetto, promo del debuttante "Gravitas", parte con Disappear Again, un pezzo di pesante hard'n Heavy, a mio avviso, una specie di coctail che si può ottenere mischiando i Black Ston Cherry con la Black Label Society.

Una sezione ritmica emozionante ed energica, insieme ad una serie di assoli melodici, tecnici ma non fini a se stessi, che trasmettono grande passione, opera dei chitarristi Chris Green e Pat "The Shred" Heat, insieme al cantante Matt Mitchell, ci danno una prova di quel che sarà la musica in questo 2010.

La seconda, Don't Follow ci ripropone una scarica di alto voltaggio di energia rock, con marcate influenze grunge, da "Alice in Chains + Iron Maiden".

La terza traccia, molto piu melodica, si apre con un esaltante intro di chitarra, Wasted On You, con sonorità piu moderne, tendenti ad un progressive metallizzato, dove viene ancor piu marcata la grande potenza del cantante, con un voce melodica ed elettrizzante.

Nel caso voleste approfondire su questo gruppo emergente, ecco il loro Myspace www.myspace.com/furyon.

Tenete d'occhio, si tratta di un gruppo da cui possiamo aspettarci molto, ne sentiremo parlare in futuro.

sabato 10 luglio 2010

Mudpie - Mudpie


Autoprodotto da un gruppo che già ha cessato di cavalcare le praterie rock'n roll, il primo, unico, omonimo disco dei Mudpie è un blues rock che sfiora piu l'hard rock in piu punti, con una buona dose di ispirazioni da Black Crowes e dagli ZZ Top, con decisi riff di hard blues, una voce sofferente, un alone di mistero intorno al gruppo, avendo lasciato solo questa produzione, senza pubblicizzarsi troppo, e rimanendo perciò nell'oblio per i più.

In questo disco troviamo pezzi come Bi Roads, Raynell, Say What you Mean, e Swing Door, purissimi e durissi pezzi di grezzo hard rock farciti da un blues che lascia spazio a influeze sudiste ed accompagnate, in alcuni pezzi, da un organo che ci procura un atmosfera da autostrada deserta nel cuore dell'america, con una chitarra, guidata da John Grell, ex Winterkat, con assoli lunghi e pesanti, che legano riff taglienti come rasoi, trasudando di influenze Hendrixiane, come in Texas Home e Say What You Mean, ma senza tralasciare il settore acustico, Out Of My Hands ne è la prova, dove domina un duetto tra gli arpeggi di chitarra e la voce sofferente di Keith Wayne.

Non mancano venature piu Southern, la splendida Heaven, ad esempio, che ricorda un po la Four Walls of Raiford dei Lynyrd Skynyrd, e nemmeno le aspettative per i piu tendenti all'hard rock tirato, come Rain Or Shine, un pezzo da ascoltare in sella ad una moto in puro stile Easy Rider, senza mai perdere del tutto l'anima blues, regalata anche da pezzi d'armonica, strizzando l'occhio al southern blues.

Il disco si chiude con On Myself, dove ancora una volta, Grell ci mostra ciò che è in grado di fare con la sei corde, con un ritmo funkeggiante, e dove anche batterista e bassista riescono ad esprimersi come meritano.

Si tratta insomma, di un ottio disco di chi vuole provare l'hard rock post '70, difficile da trovare, ma nel caso, non manchranno le soddisfazione nell'ascoltarlo.

domenica 27 giugno 2010

Camel - Breathless


"We're not a cigarette company!"
Andy Latimer



Tra i maggiori gruppi Progressive della storia, tra i meno osservati a livello di critica e pubblico, i Camel vedono la nascita nel 1971, ed ebbero il loro debutto live come spalla ai Wishbone Ash.

il gruppo regalò al panorama progressive alcuni dei suoi dischi piu significativi, come Mirage del 1974 e The Snow Goose del 1976.

Breatless non è invece uno i quei dischi entrati nella storia, ma che risulta comunque una composizione piacevole e di valore nel rappresentare lo stile dei Camel, oltre ad essere l'ultimo disco col tastierista originale Peter Bardens.

La prima traccia è l'omonima Brethless, che si presenta come una tranquilla canzone pacata e piacevole, con qualche eco dei Velvet Underground, in cui le voci dei cori di Andy, Peter e Doug si uniscono con le sinfonie delle tastiere e del flauto, nonostante le tendenze decisamente orientate verso il pop.
La seconda, Echoes, rappresenta un aumento della velocità e della melodia, dominata da una delicata sinfonia di chitarra di Latimer, scandita dalla batteria di Andy Ward, componendo cosi la parte iniziale del pezzo, un intermezzo in cui gli assoli di tastiera prendono vita e una piu decisa conclusione cnsacra un ottimo pezzo di progressive senza eccessive esigenze

Wing And A Prayer invece, porta gi echi delle sinfonie rock soft egli ani sessanta, con un tocco di innocenza abbinato a quello stile nuovo dei Camel, ma manca di ricercatezza di suoni, a comuqnue con un eccellente esecuzione, con un arpeggio delicato ed rmonioso.

I suoni si fanno piu pesanti in Down on the Farm, ma non esalta sufficientemente, rimadendo così un pezzo tendente alla mediocrità, seppur senza sciupre il resto del disco.

Starlight Ride invece, presenta atmosfere piu ambientali, con qualche venatura barocca, un pezzo che presenta delle idee buone e molto valide, ma che non viene svilupato come forse meriterebbe, mantenendo però una struttura ed un andamento pregievole, passando per una gradevole Summer Lightning, corale e ritmata, manca però di quelle ricercatezze di suoni che hanno fattoil progressive.

You Make Me Smile dò un tocco di '70 al disco, con qualche influenza funkieggiante, rimanendo però ben ancorati alle tradizioni di soft rock, lontani dalle demoniache influenze disco, ma è con The Sleeper che troviamo finalmente quel clima di follia rock degno di nome, una piccola suite di 7 minuti interamente acustica, affidata ad una specie di jam session per il progressive, con lunghi ed intrecciati assoli di tastiere ai limiti dello space, che si incontra in maniera piu accattivante in Rainbow's End, altro pilone portanteper il buon nome art rock del disco, che domina una melodia visionaria e sognatrice, lasciando un senso di smarrimento, quasi come dopo aver percorso l'arcobaleno dell'universo ed essersi svegliato all'improvviso, ai primi raggi del sole nascente.



venerdì 14 maggio 2010

Mountain

Sarebbe troppo facile chiedere a quanti di voi è capitato di ascoltare almeno una volta Mississippi Queen. Facile e scontato, se nemmeno sapete cos'è, vuol dire che l'avete ascoltata e non la ricordate, quel primo bagliore di Hard Rock estremizzato, che tanto influenzerà i primi gruppi havy metal alla fine degli anni settanta. Ebbene, questo è il gruppo di Mississippi Queen (e non solo grazie a Dio).

Poco conosciuti ai piu per motivi ignoti, i Mountain restano uno degli esempi piu riusciti di Hard Blues, senza però rappresentare uno di quei gruppi con uno schema fisso per le proprie canzoni e nulla piu.

Il gruppo nacque a Long Island, NY, nel 1969, dal frontman Leslie West, chitarra solista, ritmiche e voce del gruppo, quindi, l'anima essenziale del gruppo, che con una chitarra ben distorta, abbondando di bending e con una voce profonda e piena, da vero Bluesman del sud (nonostante col sud c'entrasse molto poco), il gruppo si completò con Felix Pappalardi al basso e con il batterista N.D. Smart, assicurandosi cosi anche una potente sezione ritmica, resa piu varia dalla conoscenza di Steve Knight, polistrumentalista, a cui si devono le sezioni d'organo e di mellotron.

L'inizio del gruppo non è decisamente male, effettuando la loro quarta apparizione in pubblico con il festival di Woodstock (di cui ho già parlato in questo sito), garantendosi cosi un buon ascendente sul pubblico, presentandosi fin dall'inizio come un gruppo di puro rock blues, presentando un introduzione di quello che sarà il loro primo disco, con la canzone Theme For An Imaginary Western, lento e passionale pezzo di fine 60, rivelando tutto il talento del chitarrista (la cui stazza ispirò il nome Mountain).


Da li a poco uscì il debutto, Climbing!, del marzo 1970, forse il miglior disco del gruppo, in cui sono rappresentati i pezzi piu famosi, come le due canzoni fin ora nominate, Never in My Life e il pezzo celebrativo per Woodstock, For Yasgur's Farm, che contine un delicato arpeggio elettrico, dove è possibile apprezzare sia il basso pesante e ipnotico di Knight, sia lo stile melodico e pieno d'emozioni di Leslie.

Il disco è un piccolo successo, grazie sopratutto al pezzo-simbolo del gruppo, Mississippi Queen.

L'album che gli succederà, Nantucket Sleighride, rappresenterà un innovazione delle somnorità dei Mountain, dove le tastiere si faranno piu presenti, creando la sonorità che diverrà il loro marchio di fabbrica, senza però alleggerirsi nel complesso, presentando inoltre pezzi strumentali con sonorità piu ricercate, come Taunta.

Il pezzo di maggior risalto è forse la title track, senza però dimenticarsi di Travellin' in the dark, altra interessante fusione di rock blue, resa piu melodica dall'accoppiata degli assoli di chitarra con le tastiere, con sound psichedelici ma che comunque si rifanno all' idea di base del gruppo, ovvero un pesante rock blues.


Il terzo album dei Mountain , Flowers of Evil, consiste, come era piuttosto solito in quel momento, in un disco con due lati, uno con del nuovo materiale in studio, in cui spiccano King's Chorale, strumentale quasi progressive, e Crossroader, un pezzo di granitico hard rock farcito di assoli blues, che ricorda per sonorità i Deep Purple, ed un secondo disco live, che rievoca i pezzi di maggior successo dei primi dischi, registrati al Fillmore East di New York.



Purtroppo non tirava buon'aria all'interno del gruppo, e l'anno successivo, i Mountain cessano di esistere, pubblicando un album live dove erano contenuti ulteriori pezzi inediti di grande importanza e successo, come la stupenda Long Red.

Nel 1974 il gruppo si riformò, dopo due anni di assenza, ma nel 1983, Felix Pappalardi venne ucciso dalla moglie, ed il gruppo subì un durissimo colpo.

I Mountain tuttavia, continuarono ad esibirsi insieme, girando sempre intorno alla popolarità ed al carisma di Leslie West, nonostante non ci fu piu niente da fare per recuperare quel successo e quella grandezza compositiva che li aveva contraddistinti in precedenza.

A tutt'ora i Mountain restano uno dei gruppi migliori e piu significativi, di quel movimento di Hard Rock e Blues a cui la musica successiva dovrà molto, e Mississippi Queen resta uno dei pezzi hard rock piu famosi e conosciuti di sempre.

sabato 10 aprile 2010

Aerosmith - Rocks



Ben prima che le ragazzine 12enni e gli idioti di mezzo mondo girassero per le strade con "i Don't Want to Miss A Thing" nell'Ipod vantandosi con orgoglio di "ascoltare il Rock!", c'era un gruppo d'oltreoceano, con una carica esplosiva di energia e passione, una musica pesante e sofferente, grintosa e folle, qualcosa di unico, che ancora oggi rimane un innovazione, una gemma ed una colonna portante del panorama mondiale. Questo gruppo vantava (e vanta tutt'ora) Steven Tyler alla voce, Joe Perry alla 6 corde solista, Tom Hamilton al basso, Brad Whitford alla ritmica e Joey Kramer alla Batteria. Questi, erano, sono, e resteranno, gli Aerosmith.

Decrivere Rocks non è facile. Il quarto disco del gruppo di Boston è uno di quei pezzi che non può mancare a nessuno, da mettere insieme a Led Zeppelin, Dark Side of The Moon, Who's Next, Highway to Hell e pochi altri.

L'inizio è sconcertante....Back in the Saddle, di nuovo in sella.

Una batteria possente unita a ritmi hard in puro stile Joe Perry, e lui, uno dei migliori cantanti di tutti i tempi, Steven Tyler, che urla i suoi testi carichi di grinta, spirito hard rock, ed imbottiti del suo argomento preferito: il sesso.

Il finale della canzane è un cocktail da dopo sbornia con cocaina dove assoli, urla e ritmiche si incrociano decise a darsi guerra.

Il secondo pezzo arriva piu blueseggiante, con un ritmo quasi funk, Last Child, altra grandissima hit mondiale del gruppo.

Un geniale assolo duetta con il folle vociare di Steven, che danno vita ad atmosfere intramontabili, cariche d'emozione e di passione, come un ultimo urlo lanciato da un anima destinata all'inferno, che si perde nella notte, carica di risentimento e di rabbia



Mama take me home sweet home

i was a last child
just a punk in the street


Si arriva a Rats in the Cellar, un classico pezzo stile Aerosmith, altra splendida esperienza di duetto chitarra/voce tra i Toxic Twins, incredibile pensare che due amiconi come questi si troveranno piu e piu volte al centro di tremende discussioni riguardando il futuro del gruppo (basti pensare alla piu recente di pochissimi mesi fa, novembre/dicembre, in cui Tyler insisteva di essere ancora membro del gruppo, mentre il resto della band negava con vigore)

Insomma, Rats in the Cellar è il classico pezzo incazzato degli Aerosmith, con tutti quegli elementi che ritroveremo nel 1987 in un certo disco chiamato Appetite for Destruction, debutto di un gruppetto di Los Angeles allora poco noto....

Combination è, e rimarrà probabilmente uno dei pezzi piu sottovalutati della storia degli Aerosmith. Se questo dipenda dall'essere inserito in un disco cosi pieno di successi come Rocks o no, non saprei dirlo. Stà di fatto che siamo di fronte ad una di quelle prove che testimoniano la potenza vocale di Tyler come poche altre prima, e dopo.



Degno di nota anche un ulteriore assolo appassionante, ma sono sopratutto le ritmiche, martellanti e taglienti come una motosega, in puro hard seventies.

Sick as a Dog sembra invece un prototipo di quelle power ballad che prenderanno il repertorio Aerosmith a partire dal 1992, nulla da dire in contrario per carità, grande prova vocale.

Ma se permettere, nulla rispetto a ciò che arriva subito dopo.

Nobodys' Fault (-But Mine- per i piu Zeppeliniani)


Lord i must be dreamin'

what else could this be

everybody's screamin'

runnin' for the sea



folle, passionale, carico come una centrale elettrica ad alto voltaggio, Tyler devasta tutto ciò che lo circonda con questo pezzo, un autentico capolavoro di riff azzeccati, ritmi a cadenza perfetti, con un testo apocalittico degno da nuovo testamento, in cui gli Aeorosmith annunciano l'inferno, con conseguente pentimento del mondo, dove nessuno ha colpe, peccato che "Now we're just a little too late!"

Si arriva ad un pezzo che riprende parte delle sonorità Rock & Roll classiche, con qualche spruzzata di boggie funkeggiante di Perry, Get The Lead Out ottima prova da aggiungere al disco, tanto per renderlo piu completo come elaborazione artistica, senza perdere di vista i suoni spaziali e sovraincisi che vanno a scontrarsi e a danzare come non sembrava possibile succedesse, con la buona dose di armonici

Troviamo poi un pezzo un po piu stanco degli altri, Lick And A Promise, veloce pezzo che unisce sonorità classiche di hard '70, dando anche qualche idea su quello che dovrà arrivare nel giro di qualche anno sul panorama mondiale.
L'ultimo pezzo si apre come un blues, prima idea di triste ballata dal sapore amaro, ma che mai sfiora tracce di depressione, con quella passione piena di sogni infranti.

Un capolavoro per chiudere un capolavoro.

Home Tonight

So baby, don't let go

Hold on real tight
'cause i'll be Home tonight

Tonight

lunedì 15 marzo 2010

Led Zeppelin - Houses of The Holy



Ultrasottovalutato disco, a mio parere, tra i migliori in assoluto (ma quale non lo è ....) della carriera dei Led Zeppelin, questo disco presenta una letale miscela di generi, sperimentazioni e suoni tipici della band inglese piu potende del mondo.


Hard Rock, Reggae, Musica che sembra uscita da una ballata celitca stile Braveheart, Funk, Musica di ispirazione indiana, Progressive oscuro, quasi un accenno ad un Doom psichedelico....insomma, in Houses of The Holy ce nè per tutti (cos'abbiano avuto quelli di rolling stones da rompere i coglioni nel '73 lo sanno solo loro....)


Il disco nasce dopo un periodo di attesa sempre piu in via di fermentazione, dopo aver lanciato a mitraglia i primi tre capitoli della loro carriera, a partire da quel '69 che li ha visti protagonisti di Led Zeppelin I e II, dopo l'epico successo di LZ IV, la band intraprese una serie di tour, prendendosi un periodo di pausa dagli studi di registrazione per quasi 2 anni.

Ormai il pubblico si è fatto un idea di quello che è il sound dei Led Zepp, ed è desideroso di sperimentare altro, cosi come la band stessa. Ma all'epoca, nessuno si aspettava un disco simile.
I Led Zeppelin erano ormai piu di un semplice gruppo, erano una vera e propria istituzione giovanile, portandosi dietro la propria magia e orde di fans assetati di vedere il biondo cantante dai boccoli cadenti duettare col ricciolo corvino chitarrista dalla chitarra siamese.

Houese of The Holy rappresentò una svolta, un punto di rottura verso tutto ciò che era stat
Il gruppo voleva di piu.

Si apre alla grande col ritmo incalzante di The Song Remains the Same, capolavoro, esplosivo mix di chitarre arpeggiate e di assoli portati alla massima velocità, con un Robert Plant in grado di sfoderare tutto il suo sex appeal e il suo carisma attraverso un microfono di registrazione.

Riascoltatevi questo pezzo nel DVD omonimo se non vi è piaciuto al primo ascolto, si tratta semplicemente di Led Zepp! alla massima potenza.
Il tutto cala improvvisamente in una placida e romantica ballata acustica, th Rain Song, altro pezzo fondamentale ma sottovalutato.


Quango George Harrison chiese il perchè dell'assenza di canzoni romantiche dal repertorio di Page e soci, gli Zeppelin tirarono fuori questo affascinante mix di folk e sintetizzatori, con ritmi cadenti a piu riprese, condizionati da un Bonham ispirato, che duetta magnificamente con le chitarre arpeggiate di Page.


Concedetemi l'espressione, ma credo che ci sia qualcosa di fatato in questo pezzo, qualcosa di celtico e affascinante. Contemplativo e brillante.

Ancora folk, almeno per la prima parte, di Over The Hills and Far Away, nato dalle sedute di Bron -Yr - Aur, il disco sembra strappato in effetti, dal lato B di Led Zeppelin III. Motivo in piu per correre ad ascoltarlo, con un Page che si diverte a mischiare Acustico con Elettrico pesante, con assoli simil Blues particolarmente interessanti.

Da The Crunge arriva un Funky stile James Brown, brillante e squillante, un autentica rivisitazione del Funk in opera Zeppeliniana, grande prova vocale per Plant.

Interessantissimo è il pezzo che segue, Dancing Days, ispirazione indiana particolarmente marcata, la chitarra di page si sbizzarisce amalgamandosi con la voce sensuale e profonda di Plant, in una perfetta armonia melodica, estremamente coinvolgente ed eccitante. Quasi un ricordo lontano di When The Levee Breaks da LZ IV.

Bob Marley aveva iniziato la sua corsa alle classifiche americane quando Page ripropose una suq visione del Reggae, in questo bel pezzo, dal nome D'yer Mak'er (ma dalla pronuncia Jamaica, non chiedetemi come e perchè.... provateci e basta) un pezzo particolarmente accattivamente, sia per le grandi doti sperimentali di Page, sia che per l'eccellente qualità della sezione ritmica (qualche idiota contestava Bonzo, insinuando che non potesse reggere il tempo Reggae)
Ma ecco che dalle allegre atmosfere caraibiche di D'yer Mak'er, si arriva al cupo progressive di No Quarter, malefica sinfonia creata dai sintetizzatori di John Paul Jones, uniti dai delicati tocchi di tastiere ben dosati, da una voce soffocata e amareggiata di Plant, con la chitarra di Pgae che va e viene, come un demone inestinguibile, questo pezzo rimarrà uno dei piu amati, fin dalla pubblicazione del disco

Ultimo pezzo è il simpatico The Ocean, dedicato all'oceanica massa di fan che gli Zeppelin erano soliti portarsi di città in città

sabato 27 febbraio 2010

U2 - The Joshua Tree

Pubblicato il 9 marzo del 1987, il quinto album degli U2 è probabilmente il loro maggior successo, ed il loro miglior disco in assoluto.

Ispirato fortemente dalle location geografiche sterminate degli Stati Uniti, questo disco è pieno di atmosfera e di caratteri sperimentali, dove vengono rivisitate le radici della musica Made in US, come il Blues, il Country e il Gospel, attravarso ispirazioni completamente rivisitate, il gruppo irlandese si fa strada tra testi poetici, contemplativi e carichi di passioni, a vedute piu critiche e politicamente impegnate.

Due esempi contrapposti per osservare la struttura del disco, sono "Bullet the blue Sky" e "in God's Country".

La prima, aperta da un affascinante feedback creata da The Edge, che dà il via insieme a Bono alla canzone, è una denuncia aperta all'amministrazione americana reaganiana, che puntava al rifornire di armi e di mezzi gruppi ribelli e paramilitari sudamericani, con l'obbiettivo di destabilizzare la già precaria situazione in cui vivevano gran parte di quei paesi.

In God's Country invece, si apre con una chitarra acustica martellante, ha come testo una visione celebrativa dei grandi spazi della campagna americana, visti con occhi meravigliati da tanta bellezza, enfatizzando quindi, l'immagine degli Stati Uniti, anche se dal punto di vista geografico, piu che sociale.

Where the streets have no name invece, arriva con un introduzione fatta di organi e atmosfere, sfociando in una cavalcata di chitarra acustica, e, insieme a With or without you, malinconica ballata, che ha per argomento una storia d'amore finita male, ma anche il rapporto con la religione, sono le due canzoni piu famose del gruppo. In entrambe sono presenti elementi di sperimentazione musicale, volta a creare effetti d'atmosfera, incuranti di basarsi su tecniche preesistenti, cercando un proprio spazio su cui lasciare il nome "U2". Missione compiuta direi.

Runnin' to Stand Still, brano di denuncia sociale sull'eroina, ripercorre tratti folk e country, con ispirazioni Delta Blues, è quasi un duetto tra Bono ed un delicato pianoforte, unito a ritmi sommessi e ad arpeggi accennati.

I suoni folk si fanno piu presenti in Trip Through your Wires, visionaria ballata in puro stile U2, dominata dalla voce eccitante di Bono, arrivando a One Tree Hill e Red Hill Mining Town, due brani sono in linea con lo spirito sperimentale/folk del disco, mentre Exit ottiene un basso costante e martellante, interrotto da ritmi piu veloci da chitarra e batteria, descrive gli ultimi momenti di un uomo in procinto di commettere un atto terribile, probabilmente un omicidio, rappresente una corsa verso la follia interiore, tirando ed allentando la tensione grazie al ritmo ora cupo e cadente, ora rapido ed inquietante.

La conclusione di questo capolavoro, arriva con Mothers of Disappeared, dedicate alle madri che denunciarono la scomparsa dei loro cari in Sud America.

Il brano si presenta come una specie di Blues Alternativo, con una melodia che aspira all'ascesa al paradiso, dove Bono e The Edge giocano le proprie carte, renendosi sofferenti e carichi di emozioni, facendo provare a chi lo ascolta un brivido unico.

Un tassello della perfezione interiore su Cd.

giovedì 25 febbraio 2010

The Doors - The Doors



4 gennaio 1967. Jim Morriaon, Robby Krieger, Ray Manzarek e John Densmore. Questa è la formazione che diede alla luce uno dei piu grandi capolavori di rock/Blues psichedelico della storia.
Considerato il capolavoro assoluto della band, il disco esprime al meglio la forte originalità del gruppo, e delle impressionanti innovazioni dei singoli musicisti. Con il piu carismatico, poetico e maledetto cantante di tutta la scena musicale degli anni '60, Jim Morrison, a tenere le redini del gruppo, con testi sempre modificati e con chiare ispirazioni di letteratura classica nei brani, a partire dal nome stesso del gruppo, citazione di William Blake .

Tastiere sospiranti e delicate, con una batteria tentennante ed una chitarra arpeggiata, acida, profonda e maniacale, il gruppo definì i connotati di ciò che erano i Doors. La chiave per le porte della percezione.

Il disco si apre con il successo Break on Through, intramontabile evergreen del gruppo, proseguendo con Soul Kitchen e con l'incredibile Crystal Ship, vera gemma delicata, dominata dalle tastiere sapientemene orchestrate, duettate con la voce di Jim.

Si arriva a Twentieth Century Fox, squillante pezzo molto piu allegro dei precedenti, dove domina la batteria martellante, arrivando alla piu acida Alabama Song, sussurante organo e con la voce melodica di Morrison, sembra la colonna sonora di qualche perverso sogno poetico e sognatore, arriviamo a Light My Fire, altro grandissimo successo, che si lascia andare in duetti psichedelici tra Ray e Robbie, in un pezzo che sfiora il Progressive.

Arriviamo a Back Door Man, cover di un classico del blues di Howlin' Wolf, quindi è la volta di I Looked at You, nuovo grande successo vocale per Jim, cupo e affascinante, con la sua voce eccitante, trova una perfetta fusione con gli arpeggi di Robbie Krieger, una solida base ritmica, risultato della fusione di organi balbettanti e batteria costante.

End of The Night sembra invece un apocalitto ricordo di qualche serata a base di anfetamine e Whiskey, effetti Phaser a non finire, con assoli arpeggiati, incupita dall'organo costante.


Si passa quindi per Take it As it Comes, pezzo dominato dal basso di Ray Manzarek, ma è l'ultima canzone che spalanca completamente i portoni della mente.

Epica, intramontabile, maestosa, affascinante, maniacale, ipnotica, cupa....in una parola sola, esagerata.

The End, undici minuti di arpeggi, piatti sussultanti e organi profani, è dominata dalla voce, mai cosi profonda, mai cosi divina, di Jim Morrison, rappresenta una rappresentazione quasi teatrale, del complesso di Edipo, dell'addio all'amore, all'infanzio, l'addio alla vita, alla ragione, ai sentimenti, un addio, definitivo, conclusiovo, senza possibilità di redenzione, può essere divisa in due parti, una prima, piu lenta e sussurrante, aumenta lentamente, come la follia matura in una persona, per arrivare all'apica, all'orgasmo musicale, dove tutti gli strumenti si fondono, in un vortice di orrore, amore, passione, privo di limiti, libero da legami, un momento di puro sconvolgimento, o in altre parole, lo Zenit dei Doors, della percezione.
Ed infine, si chiude, come un sipario di un teatro, che si chiude, abbandonando la magia alle proprie spalle.

Non con un esplosione
Non con un urlo

Con un sussulto

perchè è cosi che finisce il mondo...

in un sospiro....


mercoledì 3 febbraio 2010

Ted Nugent - Cat Scratch Fever




Cosa succede quando un folle rednek americano fanatico di caccia e con una malsana vena militarista, prende in mano una chitarra? Generalmente avremmo soltanto un aborto musicale volto a motivare le truppe USA, spingendole al massacro. Ma con Zio Ted, abbiamo uno dei piu geniali chitarrista hard rock che la storia ricordi.

Nato a detroit, Ted sviluppò fin dall'infanzia una passione per la musica rock, e cominciò ad esibirsi già ad appena dieci anni.

Il successo per il giovane Gonzo arrivò con gli Amboy Dukes, con la quale produsse dischi tra l fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta, ma sono solo spiccioli: il successo arriverà solo dopo qualche anno, con la pubblicazione dei primi due dischi, Ted Nugent e Free For All, enrambi zeppi di cassiconi hard rock tuttora presenti nelle scalette del Motor CIty Madman, che anche grazie ad esibizoni live a dir poco sbalorditive, tour sempre col tutto esaurito ed gruppi spalla di grande notorietà, che contribuiscono a creare intorno al chitarrista un nome piuttosto imponente.

Ma l'apice viene toccato nel 1977, con l'album in studio di maggior successo che Nugent annoveri: Cat Scratch Fever.

E' la title track stessa ad aprire il disco, ed è la stessa canzone ad essere la piu famosa e conosciuta di tutta la vastissima discografia di Ted, dove ritmi d potentissim hard rock incontrano assoli blues allucinanti, ed è subitoseguita dall'altrettanto celeberrima Wang Dang Sweet Poontang, dove il vecchi rock'n roll di casa Chuck Berry si fa sentire piu vigoroso e blueseggiante che mai, consacrando il pezzo tra i piu noti e riproposti brani del chitarrista.

Death By Misdaventure è invece un piu granitico hard rock, con sonorità piu 70ies, dove il blues distorto di Ted Nugent passa in secondo piano e solo negli assoli, lasciandone perciò un pezzo che trasuda influeze Aerosmithiane piu che mai (sarà un caso il fatto che i due avessere fatto piu e piu tour insieme ?...)
Live it Up è invece un pezzo piu originale e fresco, forse meno noto, ma sicuramente tra i migliori in assoluto, che lascia anche spazio alla sezione ritmica di esprimersi per quel che vale, nonostante il folle di Detroit non lasci il compito facile, predominando per tutta la canzone, dove è presente anche una melodicità non cosi scontata come può sembrare.

Ma parlando di melodicità, è Home Bound, il pezzo successivo, a far breccia su chi lo ascolta... 4 minuti e mezzo di purissimo hard rock strumentale, forse troppo sopravvalutata, ma a mio parare il pezzo piu emblematico del disco.

Riesce a fatica immaginarsi Ted come un cacciatore repubblicano amante delle armi da fuoco, mentre si ascolta questo disco, ma d'altronde, non si può giudicare un musicista per la vta privata, e potete dire quello che volete sul suo conto, ma negarne la genialità compositiva sarebbe un crimine.

Non risparmia cartucce il buon vecchio zio ted, che con Workin' Hard, Playin' Hard ci ripropone un brano di spiccata originalità e buon gusto, una composizione brillante e sconvolgente, musicalmene impeccabile.

Sweet Sally è invece piu veloce e boogie come pezzo, dove le sonorità i Nugent si consolidano, e riprendeil volo in fretta con la piu lenta A Thousand Knives, di nuovo strizzando l'occhio ai seventies, con un assolo a dir poco impeccabile, potrebbe benissimo concorrere al titolo di miglior pezzo, se non ce ne fosse una sovrabbondanza in questo disco.

Fist Fightin' Son Of A Gun ripropone nuovamente ritmi di piu allegro rock'n roll, con una sonorità piu commerciale, ma che comunque rimane impeccabile dal punto di vista della composizione.



A chiudere il disco è Out of Control, pezzo che ripresenta accenni di quella che fu l'hit del primo disco, Stranglehold.

Da annoverare nella produzione del disco la presenza del chitarrista Derek St. Holmes (Michael Schenker Group) ed il bassista Boz Burrell (Bad Company).

Insomma, Cat Scratch Fever non fà acqua da nessuna parte, sopratutto nell'edizione bonus Tracks con Cat Scratch Fever e Wang Dang riproposte in sede live all'Hammersmith di Londra nel tour promozionale.

Chi non lo avesse se lo procuri al piu presto

lunedì 18 gennaio 2010

Iron Butterfly - In A Gadda Da Vida


Classico disco della scena Acid Rock degli anni '60 per la band di San Diego Iron Butterfly. Celebrado e idolato piu di quanto meritasse, questo disco è stato il piu grande successo dell'Atlantic Records prima dell'avvento del dirigibile Zeppelin (Led Zeppelin).

Il titolo, che dà nome all'ultimo pezzo del disco, è una storpiatura da alcolici ad opera del cantante e polistrumentalista Doug Ingle, della frase "In The Garden Of Eden".

L'apertura è della simpatica Most Anyting you Want, pezzo di classica psichedelia anni sessanta della Bay Area californiana. Sicuramente ascoltata sotto effetto di droghe pesanti fà un altro effetto.

A seguirla, Flowers and Beads, tranquillo pezzo dominato dalla voce e dall'organo di Doug, che esprime atmosfere che sembrano uscite da una chiesa, con tanto di cori angelici.

Il terzo pezzo risplende già di piu sugli altri, My Mirage, altra storpiatura psichdelica, con chitarre acidissime, e con un organo meglio calibrato, in questa traccia, Ingle riesce a creare un armonia migliore tra la voce e il suo strumento, dando suggestività e affascinando.

Termination sembra invece una classica hit pop da trasmettere in due minuti da una stazione radio o TV, inacidita e migliorata dalle melodie dei Butterfly. Un buon pezzo, ma nulla di piu.

Are you Happy presenta già di piu un miglioramento delle composizioni, ma senza sprecarsi piu di tanto. La ricetta rimane quella dei precedenti singoli, ma di sicuro, gli iron Butterfly non ci sono stati piu di tanto nel registrarla.

Ma finalmente, quando ci sembra di aver sprecato i soldi, ecco arrivare In A Gadda da Vita, coi suoi 17 minuti di follia psichedelica.

Nell'introduzione il pezzo sembra un normalissimo pezzo acido come lo erano gli altri, seppure con una chitarra piu presente e meglio composta, ma subito dopo si parte con una lunga serie di assoli liberi, che sembrano li lamento sofferente di qualche animale piombato da un angolo remoto di qualche satellite di Saturno.

Si arriva poi ad un lungo intermezzo di tamburi, suggestivi ed ipnotici, lenti e ben scanditi, costantemente martellanti, che d'un tratto entrano in duetto con le tastiere, affascinanti e terrificanti, ci regalano forse il pezzo migliore della canzone, e sono sicuro che sotto LSD le sorprese non sarebbero pocheriascoltando il pezzo.

Ed ecco che lentamente, tastiere e tamburi si fanno piu frenetici, affiancati da basso e chitarra, piombando nuovamente nella parte iniziale della canzone, riprendendo In a Gadda Da vida.....

, fino ad arrivare alla fine della canzone, in un ultimo sussurante pezzo di organi.

Insomma, disco nella media, nulla di cosi importante come viene spesso suggerito dalla critica mondiale, ma che per il valore della title track riacquista qualche punto. In conclusione, se non trovate di meglio, ascoltatevelo e godetevelo finchè potete.

sabato 16 gennaio 2010

T.Rex - Electric Warrior


Maestoso, allucinante, seducente e pieno di riflessione, Marc Bolan porta i suoi T.Rex all'apice con questo capolavoro del rock britannico, classe 1971.


A marzo di quell'anno, Bolan si armò di chitarre acustiche, imbottito dei suoi testi, frutto di piu e piu trip allucinogeni, insieme a Steve Currie al basso, Mickey Finn ai tamburi e Bill Legend alla batteria, e ne uscì a giugno portandosi dietro Electric Warrior, mix di quella musica hippy a cui aveva dato vita Marc Bolan, sintetizzatori aggiunti in sovraincisioni e cori sessuali in grado di catturare chiunque si avventuri nell'ascolto del disco.


La copertina, mostrante un Bolan in assetto da battaglia, appunto, l' "electric warrior" del titolo, di cui solo i contorni sono rappresentati, attraverso una scarica elettrica, scagliata su uno sfondo nero, frutto del gruppo di deseign Hipgnosis, famoso per le affascinanti ed inquietanti copertine di gruppi come Led Zeppelin, Pink Floyd e UFO.


Il disco, che è considerato da molti, se non da tutti, il capostipite del Glam Rock (quello ancora con un senso di vita, non la sua successiva degenerazione, che sarebbe sfociata anni dopo in fenomeni da circo del Glam Metal, tra cui spiccano Twisted Sister e Poison, solo per citarne due), si apre con Mambo Sun, tirando al massimo i bassi del gruppo, dove la sezione ritmica basso/bonghi e costante e ipnotica, lasciando alla chitarra elettrica un ruolo meno di rilievo, ma che si fa sentire alla grande, con il suo suono estremizzato, mentre Marc dà un assaggio di se.


Segue il capolavoro assoluto dei T.Rex: Cosmic Dancer. Malinconica, sognatrice, il pezzo che trascina chi la ascolta nello spazio della psichedelia, in un limbo di sonorità melodiche.


Jeepster invece ci dà un idea piu elettrica del suono di Bolan e soci, con un sound piu allegro, per poi ricadere nella malinconia sognatrice di Monolith, dove tra uno spruzzo di acidità di chitarra ed un coro di giovani coriste, si fa largo un Blues inglese che non risparmia distorsioni Wah Wah.


Ancora un po di blues, stavolta con una chiara ripresa dei tempi del delta del Mississippi, con qualche spruzzo di influeza britannica presa dal tamigi.


E qui si riaffaccia uno dei capolavori assoluti, Get It On, con Rick Wakeman alle tastiere, questo pezzo presenenta il timrbo vocale di Bolan, dove la sua perversione seduttiva viene tirata fuori da ogni parola che esce dalle sue labbra.


"you're dirty sweet and you're my girl

get it on, bang the gong, get it on"


Planet Queen riporta il disco su binari piu acustici, con un testo che fa rabbrividire, carico di immagini visive psichedeliche e deliranti, passando poi per Girl e The Motivator e Rip Off, si arriva all'ultima gemma del disco, Life's A Gas, carica di cinismo e con una visione demoralizzante del mondo e della vita, un pezzo acustico in puro stile Marc Bolan, quasi un seguito di Cosmic Dancer.

Insomma, il disco dei dischi per i T. Rex, assolutamente imperdibile.


Bang a Gong (Get it On)

Tom Petty - Tom Petty & The Hearthbreakers


Classe 1976, Tom Petty mostra le palle con il suo debutto accanto agli Hearthbreakers, con un repertorio quasi interamente composto da lui e dal chitarrista Mike Campbell.

Con una formazione a 5, polistrumentalista, Tom Petty, biondo cantante/chitarrista del sud, si intromette nel panorama musicale del 1976, invaso da Hard Rock al suo apice, punk agli albori, Disco Music e Funky. Il disco, inizialmente, è un fiasco, a causa delle sonorità troppo soft per i Punk, e con accenni troppo ricercati per la nuova generazione che farà esplodere gli Iron Maiden 4 anni dopo.

Il disco, presenta quello che sarà il sound tipico che accompagnerà Tom Petty per tutta la sua carrira, unendo un folk rock, chiaramente di ispirazione Bob Dylaniana (difficilmente sarebbe esistito Tom Petty senza un Bob Dylan da qualche parte, e, ironicamente, pochi anni dopo i due si sarebbero ritrovati insieme a George Harrison e Roy Orbison per formare il supergruppo Traveling Wilburys), insieme a un sound Blues, preso dal sud degli Stati Uniti.

L'apertutra è con Rockin' Around With You, dove si fà subito sentire il particolarissimo suono del mix di chitarre di Petty e Campbell, e non si risparmiano i colpi per le qualità canore. Breakdown invece, è marcatamente piu Blues, quasi chiamata a fare da colonna sonora per un viaggio in autostrada attraverso i deserti degli USA.

The Wild One Forever, riprende effetti piu acustici, scanditi da una potente sezione ritmica, dominata dal batterista Stan Lynch, mentre si sposta sull'elettrico con Anything That's Rock 'n Roll, dove la voce del giovane spezzacuori espolde con una carica a tempo, lasciando poco virtuosismo al compagno di sei corde Mike Campbell, affidandosi sempre piu all'eficacia della sezione ritmica e all'energia e alla passione, piuttosto che a tecniche assurde, che alla fine fanno venire le palle piene anche a chi le suona.

Mystery Man riprende le caratteristiche di una ballata anni 70, pronta per essere suonata in un locale di provincia, accompagnando una birra fredda.

Un tocco di blues malinconico esce da Luna, insieme ad un efficace e sospirante tastiera, passando poi per pezzi come Hometown Blues e Strangered In the Night, si arriva al grande Hit radiofonico che fece esplodere il disco pochi mesi dopo, American Girl, ancora riproposta da molte stazioni radiofoniche. E' questo il Tom Petty che conquisterà l'inghilterra e gli Stati Uniti nel giro di pochi anni, ed esprimendo al massimo la portata delle sonorità da lui prodotte.